23 novembre 1980, dopo trentatrè anni è ancora vivo il ricordo
La vita è una successione di momenti che a volte completano i giorni passando quasi inosservati davanti ai nostri occhi i quali non sempre fotografano ogni lancetta che scandisce il nostro tempo; lasciamo che esso trascorra senza capire l’importanza di ogni piccolo movimento d’orologio che ci ricorda che quello appena vissuto non torna più.
E poi ci sono alcuni istanti che non finiscono mai, quelli che ricorderai perché ti hanno cambiato per sempre.
Una data: 23 novembre 1980, una domenica, una giornata calda di fine autunno dove la natura dei nostri luoghi risulta essere magicamente illuminata dagli ultimi caldi raggi di sole che la scalderanno prima dell’inverno più buio e rigido mai vissuto, dove nel cielo sereno si vede il primo fumo nero dei caminetti che si accendono, mentre gli alberi ormai spogli aspettano con pazienza di ritornare a vivere…
La normalità, la serenità di persone del Sud, per lo più contadini, che si riposano nel giorno del Signore: assistono ad un match importante dell’Avellino, che vincerà per due reti a zero; ascoltano sulle panchine delle proprie piazze la radiocronaca di tutto il calcio nazionale; famiglie che passeggiano tra i vicoli per assaporare l’ultimo stralcio d’estate.
Una domenica come tante che sarà per sempre interrotta dall’altra faccia della natura, quella che nonostante la sua bellezza, non ti avvisa, quella che qualche minuto prima delle 19.30 è accogliente, calda come la tua casa, quando fuori piove e fa freddo, ed un istante dopo quei trenta minuti dopo le sette, è il tuo più perfido nemico, capace di toglierti in meno di novanta secondi non solo la vita ma tutti i tuoi sogni più profondi.
Arriva da lontano un boato, un rumore mai sentito prima, qualcosa che non ti aspetti e per questo ancora più d’impatto e… tutto trema: le scale del tuo pianerottolo, le stoviglie nella cristalliera, i tavoli che aspettano di essere apparecchiati per la cena, e soprattutto il tuo cuore, che prima di allora non aveva mai sospirato tanto.
Prima c’è la soffusa luce del tramonto a farti compagnia, subito dopo è buio, ma questa volta non basterà neanche l’alba del giorno dopo a portare luce, non basteranno gli abbracci dei sopravvissuti e neanche la consapevolezza di avercela fatta a far risplendere in te la speranza, perché intorno c’è solo morte.
E’ così impensabile che non riesci a raccontarlo senza avere un magone nella stomaco che fa tremare anche le tue mani mentre scrivi. E’ così forte l’eco del dolore che hai paura di non poter raccontare il dramma senza immergerti in uno degli avvenimenti più drammatici del nostro meridione.
Il terremoto spezza ogni legame tra presente e futuro, crea una divisione tra ciò che si era prima e ciò che sarai dopo, se hai la fortuna di sopravvivere alle macerie della terra e dell’anima.
Alcuni paesi distrutti dal sisma, che per secoli hanno dormito aggrappati ai monti, nel giro di una manciata di secondi cambiano la loro faccia: il terremoto lascia una cicatrice nelle carni della terra e nella coscienza della gente. Il paesaggio è cambiato, tanti dispersi non sono mai più stati trovati e quello che era prima non sarà mai più uguale. Un mondo è finito ed uno nuovo è nato dalle macerie.
Dopo quel preciso istante, appena hai capito di essere salvo, corri a contare i componenti della tua famiglia sulle dita di una mano anch’essa tremante, per vedere quanti sono ancora con te, se l’esito è positivo gioisci ma solo per un attimo, intuisci che avrai perso per sempre una parte di te. Questo perchè una casa, un lavoro, una chiesa e il tuo paese sono la tua identità, il ritratto della coscienza di un uomo che non avrai più o che resterà per anni sepolta sotto le mura dell’indifferenza della gente o dello lo Stato che ti aiuta solo per qualche giorno, ma che con la stessa velocità in cui il sisma distrugge, si dimentica di chi vive ancora oggi in baracche piene di amianto e di tanta vergogna.
In quel giorno del 23 novembre 1980 la furia si abbatte sui paesi della Campania e della Basilicata, l’osso spolpato di un meridione già senza speranze. Tremila morti, migliaia di feriti, paesi sconosciuti rasi al suolo: Lioni con la sua piazza; Sant’Angelo dei Lombardi con il suo ospedale accartocciato; la Lucania ferita a morte e tutta l’Irpinia finita nella morsa di un evento apocalittico.
Uno stato quasi assente è tutto nelle parole del Presidente Pertini che dopo tre giorni arriva sul posto e si indigna dicendo che non ci sono stati soccorsi immediati ed efficaci se dalla terra ancora si odono gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi.
Dopo quelle parole pronunciate da un uomo amato dall’intera nazione, si mobilitano giovani da tutte le parti, volontari dell’esercito, un insieme di gente che crede ancora nella solidarietà e nell’Italia unita.
L’abbraccio solidale dura il tempo di esorcizzare la paura e il dolore, prima che si lasci spazio all’indifferenza e ai numerosi sprechi che hanno arricchito grandi gruppi finanziari e la camorra.
Dopo il boato, la paura, la consapevolezza di essere vivi, il rammarico per la perdita dei cari e della propria abitazione, le notti trascorse nei rifugi messi a disposizioni dalle forze volontarie, dopo i fiocchi gelidi di quel tremendo inverno, la verità e che gran parte dei sopravvissuti sono rimasti soli e la loro forza di reagire, nonostante l’abbandono da parte delle istituzioni, è la dimostrazione della rinascita della nostra terra fatta di gente vera, che è andata avanti a testa bassa, a costruire mattone dopo mattone, senza attendere miracoli dal cielo.
Ognuno ha visto risorgere il proprio paese grazie al sudore ed alla fatica di persone umili che ora possono di nuovo godere dell’ultima luce di novembre, perché sui nuovi tetti dei campanili della propria parrocchia, il sole risplende ancora. Il dopo sisma è stato un susseguirsi di eventi senza fine, mai accertati e denunciati solo in parte.
Significative furono le parole di Indro Montanelli, lo specchio di un’unica ‘vera’ verità: «L’uso di 50-60mila miliardi stanziati per l’Irpinia rimase un porto nelle nebbie, quel terremoto non aveva solo trasformato una regione e l’Italia ,ma addirittura una classe politica.»
I finanziamenti stanziati per la ricostruzione sono stati in parte utilizzati per scopi personali, numerose le inchieste che partirono e che raccontarono gli sprechi e l’appropriazione indebita di denaro da parte di politici locali, imprenditori e banche con la conseguenza che ancora oggi intere famiglie vivono in baracche da oltre trent’anni e sono invisibili agli occhi dello Stato.
La memoria di quasi tremila persone decedute sotto le macerie, è tutto negli occhi di chi è ancora qui a raccontarlo e grida ad alta voce di non dimenticare: gli anni vissuti nei prefabbricati pieni di amianto; la scarsa organizzazione dei centri abitati, che non ha permesso il ripristino di una vita sociale e collettiva; le opportunità negate agli adolescenti, oramai adulti, per il futuro e tanti costretti poi ad emigrare perché la loro terra non offriva nulla, nonostante i miliardi destinati anche per le nuove iniziative industriali, che però sono stati spesi male e non a favore dei bisogni collettivi.
Da quel lontano 1980 anche se case, edifici, chiese e ponti in parte sono stati ricostruiti, quello che manca oggi è proprio il tessuto sociale con scarsi punti d’incontri, poche opportunità lavorative. Un continuo invito, insomma, ai giovani ad andare fuori ed abbandonare le proprie terre d’origine e tutto quello che il terremoto ha fatto in pochi secondi sembra che ora lo stiano facendo gli uomini.
Ricordare e soprattutto raccontare serve a dare una speranza alle nuove generazioni che reclamano nuove risorse ed incentivi per poter crescere nei luoghi di appartenenza, senza il bisogno di dover scappare; serve a sollecitare le autorità preposte, ad uscire dal vicolo cieco dell’indifferenza e risarcire moralmente tutti coloro che attendono ancora una casa e che ancora convivono da trentatré anni con questa tragedia.
I soffici fiocchi di neve che coprirono il territorio divennero subito ghiaccio, mai sciolto, per alcuni il sole non è più arrivato ed il terremoto mai terminato.
Così, all’epoca, dichiarò il presidente della Repubblica Sandro Pertini: «Qui centra la solidarietà umana, tutti gli italiani e le italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi fratelli colpiti da questa sciagura. Perché credetemi il modo migliore per ricordare i morti è pensare ai vivi».


