Le origini della fotografia: disegnare con la luce!

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Inauguro con questo articolo di presentazione una rubrica completamente dedicata alla fotografia; per farlo mi sembra doveroso cominciare con quella che è l’origine di questa forma d’espressione e comunicazione che, al giorno d’oggi, è ormai completamente radicata nelle nostre abitudini, appartenendo alla vita quotidiana.

Sin dall’inizio dei tempi, l’uomo è sempre stato interessato ad impressionare qualcosa e a lasciare traccia di sé, basti pensare ai graffiti ritrovati nelle caverne o ai geroglifici, che con i propri simboli hanno inventato una vera e propria scrittura basata sui disegni.

Siamo ancora lontani da quella che è la fotografia oggi; nei millenni filosofi ed artisti si sono sempre mostrati interessati alla scoperta di un metodo per realizzare una foto, vedi Aristotele o Leonardo da Vinci, ma non avevano abbastanza mezzi a disposizione.

Una tecnica che si avvicinava molto alla fotografia venne realizzata grazie all’invenzione di una macchina stenopeica, che consisteva in una scatola di legno, al cui interno attraverso un gioco di obiettivi e lenti veniva riprodotto su una lastra ciò che l’obiettivo inquadrava in modo speculare. In questo modo i pittori con i loro mezzi riuscivano a riprodurre fedelmente paesaggi con minuzia di particolari. Di per sé il termine “fotografia”, dal greco “disegnare con la luce” contiene tutto quanto detto finora: la sua origine millenaria e il desiderio di disegnare grazie alla luce.

La vera rivoluzione avvenne agli inizi del XIX secolo con la scoperta di materiali fotosensibili, che, in parole povere, risultavano reagire ai raggi del sole. Tra le tante tecniche sperimentate due furono le vincenti realizzate in parallelo e poi in collaborazione dagli artisti Joseph Niépce e Louis Jacques Mandé Daguerre. Essi scoprirono che un foglio di rame cosparso di argento o suoi derivati non solo era sensibile alla luce ma riusciva a catturare le immagini.

Fu così che sperimentando e provando nel 1837 Daguerre riuscì a sviluppare una tecnica capace di riprodurre una natura morta di grande pregio, utilizzando una lastra di rame con applicata una sottile foglia di argento lucidato, dando vita al dagherrotipo e segnando finalmente la nascita della fotografia.

Il grande limite di questa tecnica derivava dai lunghissimi tempi di esposizione necessari, intorno ai 15 minuti, tanto che era impossibile pensare di poter fotografare l’essere umano o animale se non dopo la morte che ahimè li consegnava all’immobilità; ed è per questo motivo palesemente tecnico che, in quegli anni, nacque proprio la moda di fotografare i propri cari ormai defunti.

Col tempo e le successive scoperte, le macchine per realizzare fotografie si son affinate sempre di più sino al punto di superare il metodo analogico ed approdare al mondo digitale che domina i nostri giorni.

Con questo bagaglio di esperienze, per dirla con le parole di Bernardo di Chartres «Siamo nani sulle spalle di giganti», mi sento di affermare che scattando una foto dobbiamo soppesare attentamente la fortuna di utilizzare mezzi molto più sofisticati e facili di duemila anni fa, senza perdere la memoria dell’oggetto che stringiamo tra le mani, ricordiamoci sempre che dal più remoto dei tempi chi si è avvicinato alla fotografia, chi l’ha ricercata e scoperta lo ha fatto esclusivamente mosso dalla passione.

 Annibale Sepe


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