Nino Giordano, cittadino del mondo ma mirabellano nel cuore

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Feliciano Giordano, detto “Nino” , irpino verace trapiantato in America. La sua è la storia di uno dei tanti emigranti che nel secondo dopoguerra lasciarono la propria terra d’origine per cercare fortuna altrove. Da semplice operaio in un’azienda che produceva pizze surgelate, al vertice della direzione del settore informatico dell’esercito statunitense, Nino la fortuna non l’ha solo cercata, ma ha saputo costruirsela. Nino Giordano, infatti, durante l’arco della sua carriera ha ricoperto cariche di grande prestigio e responsabilità, cominciando da ingegnere progettista delle reti di comunicazione nel Vietnam e Thailandia nel 1967, e culminando col titolo di Direttore Tecnico dell’agenzia militare addetta all’ingegneria e progettazione dei sistemi strategici di comunicazione e informatica dell’esercito americano. I suoi successi sono stati riconosciuti dai presidenti Reagan e Bush.

Il suo ultimo impiego è stato quello di vicedirettore del centro ricerche di Forth Monmouth, con responsabilità di tutti i programmi di sviluppo ed applicazione di tecnologia fisica ed elettronica per i sistemi di comunicazione.

Una carriera ineccepibile, dunque, quella di Nino, che ha saputo tenere alto l’orgoglio dell’Irpinia, quell’Irpinia che gli ha dato i natali e che lui ha sempre portato nel cuore.

 Cosa l’ha spinta ad andare via dall’Italia a soli sedici anni?

«La vita in Italia, nel sud, era molto difficile, soldi non ce n’erano, la guerra ci aveva ridotto alla fame. Mio nonno già nel lontano 1860 aveva lasciato l’Italia alla volta di Boston , e da lì ci mandava un po’ di denaro utile alla nostra sussistenza. Io avevo il forte desiderio di studiare, ma quelle condizioni non me lo avrebbero permesso. Così dopo la partenza di mio padre, decisi anche io di seguirlo: avevo appena concluso il primo anno di studi al liceo “Colletta” di Avellino. Era il 1956».

Com’è stato l’impatto con la nuova realtà e cosa ha fatto una volta arrivato nel New Jersey?

«Ho iniziato con i lavori più umili. Due miei ex compagni di scuola mi procurarono un impiego in un’azienda italo-americana, a Newark, che produceva pizza surgelata. Ad ogni modo, non mi sono mai sentito discriminato per la mia nazionalità, l’America è un paese che dovreste conoscere: vige il rispetto per la persona, per i diritti, e piena libertà. Dopo quell’esperienza mi trasferii a Boston, dove mi improvvisai sarto per un anno. Intanto continuai a studiare, frequentavo la scuola serale: riuscii a conseguire la maturità classica in soli tre mesi grazie al consistente bagaglio che mi lasciò il liceo di Avellino. Dopodiché mi iscrissi all’allora detta “università dei poveri”, perché abbinava il lavoro allo studio. Proprio perché lavoravo, infatti, impiegai cinque anni invece che quattro per laurearmi. Fu proprio durante il primo anno di università che conobbi la mia futura moglie Palmira Cappuccio, originaria di Mirabella Eclano».

Nonostante una vita così piena ed impegnativa ha trovato il tempo per gli affetti e la famiglia?

«Incontrai Palmira durante il primo anno di Università: avevo organizzato un pic-nic in compagnia dei miei amici italiani. Il nostro fidanzamento durò i cinque anni di università, solo dopo la mia laurea, infatti, decidemmo di sposarci. Devo dire che dopo averla incontrata, il pensiero di tornare in Italia, man mano, andò scemando: sentivo di aver realizzato quella concretezza di cui avevo bisogno. La figura di Palmira è stata fondamentale, il mio lavoro mi ha portato in giro per il mondo, eppure ero tranquillo, sapendo di lasciare i miei due figli nelle sue mani».

Nel 2001, Lei e Palmira ritornate a Mirabella, perché?

«Arrivati alla pensione io e Palmira decidiamo di tornare in Italia per realizzare quello che era stato il sogno di una vita di mio suocero. Dopo tanto lavoro e tanti sacrifici, infatti, la famiglia di mia moglie era riuscita ad acquistare un terreno in località Sommito. Mio suocero avrebbe desiderato costruire una casa di famiglia proprio lì, ma le condizioni dell’epoca non glielo permisero. Proprio per questo io e Palmira decidemmo di dar vita a questo suo desiderio: non appena arrivati a Mirabella abbiamo dato il via ai lavori di costruzione di quest’abitazione. Oggi, come potete vedere, su quel terreno abbiamo costruito questa meravigliosa casa, ma purtroppo mio suocero non ha avuto la fortuna di vederla completata. In ogni caso ci siamo sempre sentiti molto legati alle nostre origini, alle nostre radici, Mirabella ha occupato e continua ad occupare un posto di riguardo nel nostro cuore: nonostante io sia originario di Pratola Serra mi sono sempre sentito mirabellano nel cuore».

Ripensando alla sua storia, rifarebbe tutto oppure ha qualche rimpianto?

«Dire rimpianto sarebbe troppo. I problemi meridionali si sentivano allora più di oggi, quindi avere l’opportunità di crearsi un futuro e diventare qualcuno in Italia, forse, non sarebbe stato possibile. In America esiste la meritocrazia, le raccomandazioni non esistono e non esisteranno mai. Un emigrato che riesce a laurearsi per ben tre volte in un paese straniero, e a ricoprire una carica di così alto rilievo nel Dipartimento della Difesa americano non è cosa da poco. Sono le capacità, il merito che contano. Dunque posso dire di rimpiangere le amicizie che ho lasciato, i miei affetti, la mia famiglia, il mio paese ma sicuramente non la situazione politica e sociale che ho lasciato e che, ahimè, ho grossomodo ritrovato. Nonostante io abbia ormai una certa età, le idee non mi mancano: ho in mente tanti progetti per riportare Mirabella ai vecchi splendori, ma vedo un po’ di reticenza da parte di chi dovrebbe interessarsi. Io, comunque, rimango sempre a disposizione di chiunque abbia un po’ di buona volontà da impiegare per il bene di questo splendido paese, e confido soprattutto nei giovani».

In conclusione, si sente più americano o italiano?

«Io mi definisco un “cittadino del mondo”. Sicuramente mi sento molto legato all’America per tutto quello che mi ha dato, ma non dimentico da dove sono partito. Ho girato il mondo, ho visto tanti posti, ma Mirabella ce l’ho sempre avuta nel cuore».

Fabiola Genua
Antonella Tauro


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