Ivan Speranza, un campione in “salsa” mirabellana

ivan speranza

Parlare di professionismo nel mondo calcistico non implica soffermarsi esclusivamente sulla maggiore categoria che lo rappresenta, cioè la chiacchieratissima Seria A. L’area del professionismo conta quattro livelli. L’ultimo di essi, gestito dalla Lega Italiana Calcio Professionistico, corrispondente a quella che era la serie C2, ha un protagonista “made in Mirabella Eclano”: Ivan Speranza, classe 1985, difensore. Giovane talento del calcio italiano nella categoria della seconda divisione della Lega Pro, Ivan Speranza vanta una carriera invidiabile. Inizia, infatti, con un’esperienza in Eccellenza nell’Eclanese, nella stagione 2003-2004, prosegue in serie D, militando nella squadra napoletana del Viribus Unitis (2005-2009) e nel biennio 2009-2011 nel Gaeta, fino all’approdo al Teramo nel 2012, all’epoca in serie D, poi promossa in C2 ed oggi alla vigilia dei play off per la serie C1.

Hai iniziato a giocare tra le fila dell’Eclanese. Che ricordo hai di quel periodo, della squadra e della società?

«È passato qualche anno da allora, ho avuto altre esperienze calcistiche importanti, ma conservo un ricordo molto positivo della stagione eclanese. Con la maglia gialloblù ho disputato il mio primo campionato importante, raggiungendo con soddisfazione l’obiettivo salvezza. L’anno in Eccellenza ha rappresentato per me un notevole momento di crescita ed è stato indubbiamente significativo per la mia carriera. Ho avuto la possibilità di giocare con ragazzi, per altro tutti forestieri (ero l’unico indigeno della squadra!), con i quali da subito ho instaurato un ottimo rapporto. Positivo è anche il ricordo che ho del gruppo dirigente della squadra, in particolar modo del presidente Sirignano, vero e proprio cardine dell’Eclanese, al quale mi sentivo fortemente legato anche al di fuori del contesto calcistico. Ricordo che all’epoca, Ettore Sirignano mostrò molta fiducia in me e nel mio talento di calciatore».

Qual è il tuo rapporto oggi con Mirabella Eclano?

«Ormai vivo fuori da circa nove anni, tuttavia mi sento ancora fortemente legato al mio paese di origine. Ogni volta che mi è possibile, cerco di tornare a Mirabella. Mi piace camminare per le strade e salutare gli amici. In tutti questi anni, sin da quando ho iniziato a giocare fuori, molti dei miei compaesani hanno dimostrato nei miei confronti un  grande affetto. Mi seguono attraverso i giornali e mi capita spesso di ricevere da loro messaggi di complimenti o, in caso di sconfitta, messaggi di conforto. Sono gesti d’affetto, piccoli attestati di stima, che per me significativi. Sentirli vicini contribuisce a darmi la giusta carica.  Il tuo curriculum evidenzia una carriera in ascesa. Sei partito da categorie minori, per approdare oggi alla serie C2, hai quindi conosciuto diversi livelli del calcio italiano».

Quali sono, secondo te, gli aspetti che differenziano il calcio giocato a livelli dilettantistici e quello invece praticato nell’ambito del professionismo?

«La serie D può essere considerata un semi professionismo e, a livello di lavoro, è molto simile alla Lega Pro. Nel contesto calcistico, quando aumenta il livello della categoria, ci si confronta sicuramente con un’organizzazione più articolata. Il gioco diventa più complesso, più tattico e si incontrano professionisti di un certo calibro. Spesso, a parità di livello, cambia il valore della “piazza”, quindi ci sono squadre più in vista di altre. Il Teramo Calcio, ad esempio, nella seconda divisione della Lega Pro rappresenta una piazza importantissima. Nel mondo del calcio, analizzando i vari gradini che dalle categorie dilettantistiche conducono a quelle del professionismo, si nota come, aumentando il livello del gioco, si accresce, in modo naturale e fisiologico, la tensione. Ci si sente molto sotto i riflettori e quindi si avvertono maggiori responsabilità. È anche vero, però, che le soddisfazioni conseguite nell’ambito del professionismo sono impareggiabili. Purtroppo molto spesso, dall’esterno, si percepisce solo la vita patinata del calciatore. In effetti non è proprio così. È un lavoro di testa. Ci vuole concentrazione. Il talento che si possiede deve essere necessariamente supportato da un duro e costante allenamento. Indubbiamente è una professione che, svolta ad un certo livello, regala emozioni forti e grandi soddisfazioni, ma bisogna sempre rimanere con i piedi per terra».

L’Eclanese è riuscita a conservare la categoria. Per i play off cosa si prevede? 

«L’Eclanese, come dire, è stata una specie di primo amore! Cerco sempre di tenermi aggiornato sulle vicende calcistiche che la vedono protagonista. Ho seguito il campionato di quest’anno e ho festeggiato, anche se da lontano, la loro salvezza. Hanno fatto un vero e proprio miracolo! Ho ottimi rapporti con alcuni dei calciatori, conosco da tanti anni il capitano della squadra Gennaro Ruggiero, col quale ho giocato nel Viribus Unitis, ed è spesso lui a tenermi aggiornato sui fatti calcistici locali. Anche per il Teramo è stato fatto un miracolo! Siamo riusciti, al 98esimo, a vincere la partita contro la Salernitana e quindi a qualificarci per i play off. Siamo entrati in ultima posizione, quindi un po’ svantaggiati, ma ci sentiamo carichi e concentrati. Siamo pronti alla sfida!»

Antonella Salierno


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