Don Remigio Spiniello, riscopriamo il valore del vivere la Comunità

Don Remigio

La sera si insinua con coni d’ombra nella silenziosa navata centrale della Chiesa Madre, mentre la attraverso circospetto per raggiungere la sagrestia, dove mi aspetta paziente Don Remigio Spiniello, il nostro sacerdote, la guida della nostra piccola comunità, una persona che ha visto mutare i tempi e i costumi della nostra società, che ricorda la Mirabella di un tempo e ha davanti agli occhi, più di chiunque altro, la reale situazione della nostra contemporaneità. Fu ordinato parroco di S. Maria Maggiore di Mirabella Eclano il 1° novembre 1977, subentrando a Don Nicola Gambino, e da ormai trentasei anni vive attivamente e personalmente le problematiche e le criticità della nostra gente, sempre attento a dar voce al silenzio dei più deboli, a coloro che una voce, molto spesso, non ce l’hanno.

La sua vicenda sacerdotale ed umana è permeata dalla formazione del Concilio Vaticano II, e dalla conseguente apertura al mondo laico in una proficua collaborazione negli ambiti della cultura e della conoscenza, per cercare di trasformare la Parrocchia in una vera e propria cellula della Chiesa insistente su un preciso territorio, i cui membri possano riscoprire la loro missione di figli di Dio, nella formazione della carità cristiana, nell’espressione del culto, seguendo la legge suprema, che dovrebbe guidare ogni comunità, la legge dell’amore.

«Ho sempre cercato di essere vicino ai problemi dei più deboli, e questa è un’impostazione che dovrebbero rammentare tutti – mi dice Don Remigio pacatamente, mentre discorriamo seduti al tavolo della sagrestia – si parla sempre di crisi e povertà, ma esiste una povertà ben più grave di quella materiale, è la miseria di valori e principi che si annida nelle nostre coscienze».

Nelle sue parole riesco a percepire il valore di una missione, legata a solidi principi di carità e devozione, «… ho istituito, proprio per questo motivo, Il Centro di Ascolto, un luogo che possa dar voce alle fragilità e alle carenze esistenziali della nostra comunità, un luogo che faccia riscoprire il valore del confronto e del dialogo. Credo che siano fondamentali i gruppi di volontariato, come la Caritas, e le libere associazioni dei cittadini per poter far crescere consapevolmente le nostre famiglie nel rispetto e nella dignità di ogni singola persona».

Nel suo volto scorgo l’amarezza di un tempo che ha lasciato ferite e incupito i suoi  pensieri, «… Mirabella sta vivendo in una società che inesorabilmente si scristianizza, una società che insegna e persegue falsi ideali e principi, una società dominata dal culto dell’avere e dell’apparire. L’espressione di questa regressione culturale ed umana è rappresentata principalmente dai giovani, sempre più lontani dalla fede e dai suoi dettami di carità ed amore; soltanto un ragazzo su quattro si dichiara credente e praticante, si è passati, nel giro di tre generazioni, da una religiosità ereditata ad una religiosità di pura adesione, con un evidente allontanamento, da parte dei più giovani, dai valori e dai dettami della cristianità».

Mi guarda come se pensando ai miei anni giovanili, riuscisse a definire la distanza che li separa da questa contemporaneità, «… i giovani d’oggi vivono esistenze isolate e dimenticano molto spesso il concetto di comunità cristiana, intesa nella sua accezione più ampia di una sistema di valori e principi che possa costituire un complesso di legami volto al benessere della collettività. In un mondo dominato dalla moderne tecnologie, che dovrebbero avvicinarci e coinvolgerci in un progetto comune, i nostri giovani non trovano più tempo per il semplice e costruttivo “stare insieme”, e sarebbe di certo necessario un più fattivo interesse da parte delle autorità amministrative nel creare nuove strutture che possano aggregare e coinvolgere i nostri ragazzi, perché essi sono il futuro della chiesa e della società e dovrebbero diventare i protagonisti principali di una rinascita delle nostre coscienze».

E’ visibilmente preoccupato dalla regressione produttiva ed occupazionale che sta colpendo la nostra terra, «… stiamo purtroppo assistendo ad un nuovo esodo di ragazzi verso Paesi lontani in cerca di lavoro e futuro, questo preoccupante fenomeno desertifica il nostro tessuto sociale e toglie prospettiva futura alla nostra Comunità. Dobbiamo cercare con tutte le nostre forze, insieme all’Amministrazione locale di favorire la riqualificazione del nostro patrimonio artistico e culturale, nel comune intento di creare nuovi posti di lavoro e prospettive di crescita per il nostro centro storico, che resta, pur sempre, il cuore pulsante della nostra Comunità».

Siamo seduti uno di fronte all’altro, il sole tramonta sulle nostre parole, sui ricordi delle tante esperienze vissute insieme, nei suoi occhi brilla ancora la tenacia e lo spirito di chi intende seguire e guidare la nostra comunità, di chi ha vissuto sulla sua pelle le tante perdite delle nostre famiglie e le molte gioie dei nostri giorni migliori, rammentiamo insieme le tante attività che si organizzavano durante i miei anni giovanili, e le difficoltà di aggregazione di oggi.

«La crisi dei giovani deriva dal preoccupante e continuo sfaldarsi delle famiglie; la famiglia è la cellula primaria ed essenziale della società, su essa si fonda la speranza di un rinnovarsi delle nostre  coscienze e della nostra capacità di vivere rettamente il presente. Nessuno dovrebbe dimenticare che il vivere cristiano è fondato sull’annuncio del Vangelo, sulla Liturgia delle celebrazioni e sulle attività caritatevoli. Purtroppo oggi si assiste ad un arroccarsi su posizioni economiche precostituite quando sarebbe necessario un ulteriore sforzo di investimenti da parte di chi detiene le risorse necessarie per perseguire un’equa redistribuzione del benessere allo scopo di una globale rinascita della nostra città».

La sera ci impone il suo delicato silenzio, come un velo si posa sul nostro incontro e sui discorsi che abbiamo affrontato insieme, Don Remigio si congeda da me con la speranza di chi ha vissuto i tempi luminosi della nostra amata Mirabella, e crede fermamente che quei giorni possano ritornare.

«Tanti ricordi mi legano a questa terra, e mi danno la spinta a proseguire nelle mie attività. Più di ogni altro il novembre del 1980 ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore, il terremoto è una ferita ancora aperta tra questi vicoli, è stato un evento disastroso che ha scosso le coscienze e che ha rappresentato un frattura insanabile con il passato. La mia speranza è che la nostra comunità rialzi il capo e supportata dalle istituzioni riesca a ritrovare la giusta sinergia per percorrere nuovi itinerari di sviluppo e di crescita. Spero vivamente, al pari della chiesa ravvivata dalla luce rinnovatrice del messaggio di papa Francesco, che anche la nostra Città ponga più attenzione alle molteplici problematiche che segnano l’esistenza di tanti  concittadini e che l’impegno di noi tutti riesca a disegnare nuove strade da percorrere nella comune direzione di una rinascita emotiva, sociale ed economica della nostra terra».

Massimo Lo Pilato

 


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