I disturbi del comportamento alimentare: il complesso equilibrio tra corpo e mente

Foto Articolo Luglio 2013

La relazione fra il cibo e il corpo rappresenta, oggi più che mai, una questione degna di attenzione da parte della comunità scientifica. Sempre più spesso ci si trova di fronte a persone che hanno un’immagine corporea negativa o parzialmente/totalmente distorta. Se provassimo a chiedere a degli amici come si definirebbero in questo momento della vita di sicuro risponderebbero di essere in sovrappeso pur essendo in una netta condizione di obesità oppure obesi quando invece sono in un’evidente condizione di normalità. Inoltre ci accorgeremmo che alcuni, pur avendo un’immagine corporea realistica, affermerebbero di essere totalmente insoddisfatti della propria condizione fisica, dunque, vorrebbero letteralmente “trasformare se stessi”, manifestando una netta insofferenza per la propria immagine.

Ma che cos’è l’immagine corporea?

Utilizzando le parole dello psichiatra e psicoanalista viennese Paul Schilder, l’immagine corporea è “il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi”. Da queste parole si può ben comprendere che l’immagine corporea è la rappresentazione mentale del nostro corpo ed è un dato soggettivo, non oggettivo. A chi non è mai capitato di sentirsi tremendamente gonfio magari prima di un evento importante come un esame o alla fine di una giornata stressante? Oppure di sentirsi meravigliosamente bene con un vestito nuovo appena indossato e di avere una migliore percezione di se stessi? Eppure in nessuno di questi casi c’è una modifica effettiva e reale del corpo, ma solo della nostra immagine corporea mentale. Il dato interessante è che tale immagine si costituisce nel corso degli anni a partire dai primi giorni di vita. La relazione con i genitori e successivamente gli incontri della vita con i coetanei, le prime esperienze sentimentali e sessuali, la cultura nella quale si cresce, con i suoi modelli ideali e i suoi stereotipi, contribuiranno a modulare l’immagine mentale del corpo e la soddisfazione o insoddisfazione per il proprio aspetto. E’ chiaro dunque che l’immagine corporea non è affatto statica, ma fluttua e si modifica nel tempo, poiché determinata da influenze sensoriali, motorie, ormonali, percettive, estetiche, psichiche, emotive, sessuali, affettive e sociali.

In quest’ottica si capisce come i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) non siano, quindi, semplici “malattie dell’appetito” o “patologie da imitazione” di modelli inappropriati ma rappresentano sintomi di problematiche con implicazioni psicologiche e/o psichiatriche. Sono la cornice di un quadro patologico più vasto le cui tinte principali sono legate a problemi familiari e relazionali, bassa autostima e senso di inadeguatezza, negativa immagine di sé nonché difficoltà a recepire le proprie emozioni e i propri bisogni. E’, inoltre, stimato che ci sia un’elevatissima incidenza, in chi soffre di disturbi alimentari, di perdite affettive importanti, abbandoni ed abusi subiti in età infantile. Il pensiero ossessivo del cibo e del corpo si pone quindi come una sorta di anestetico che impedisce di avvertire il disagio e, nello stesso tempo, diviene unico strumento per esprimerlo.

L’insoddisfazione per la propria immagine corporea può portare a dei comportamenti estremi e dannosi. Non è raro infatti che le persone con alterazioni di questo tipo attuino una cronica restrizione calorica, un’attività motoria estenuante, utilizzino diuretici e/o lassativi, eseguano trattamenti estetici o chirurgici. I DCA sono definiti come persistenti disturbi del comportamento alimentare e/o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica e il funzionamento psicosociale, che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.

I disturbi dell’alimentazione sono un problema molto diffuso nel nostro Paese, ma la loro conoscenza è ancora scarsa. In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione, soffre di disturbi del comportamento alimentare: il 95% sono donne, anche se sempre più numerosi sono gli uomini che manifestano questi sintomi e si rivolgono a strutture specializzate. L’età di insorgenza di queste patologie si colloca prevalentemente tra i 12 e i 25 anni: l’8-10% delle ragazze e l’0,5-1% dei ragazzi soffre delle forme più gravi come anoressia e bulimia mentre gli altri di manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. In questa fascia di età, i DCA rappresentano la prima  causa di morte e negli ultimi tempi emerge un preoccupante allargamento delle età interessate che riguarda in particolare i bambini prepuberi e le donne in menopausa.

Al centro di queste patologie, che possono assumere forme diversificate e complesse, si trova il trinomio corpo-cibo-peso con i significati che ognuno di questi assume. Ad esempio, il corpo diviene strumento per manifestare una profonda sofferenza rendendosi teatro di un disagio altrimenti indicibile. Il cibo diviene l’oggetto da cui si dipende, sia negandoselo, come nell’anoressia, sia abusandone, come nella bulimia e nel disturbo dell’alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorders – BED).

E’ evidente che queste problematiche, soprattutto in presenza di obesità, non possono e non devono essere affrontate semplicemente riducendo l’assunzione di cibo e/o aumentando l’attività motoria per dimagrire: non è il dimagrimento, infatti, che aumenterà l’autostima o modificherà positivamente l’immagine corporea o porterà ad un’autovalutazione più funzionale e non unicamente dettata dal controllo ossessivo del cibo e del corpo. Piuttosto è fondamentale accogliere il disagio della persona, capire le dinamiche della sua immagine corporea negativa, chiederle cosa crede che cambierebbe qualora modificasse il suo corpo e comunicarle chiaramente che sarebbe inutile modificare esclusivamente il suo corpo quando il malessere si trova anche dentro di sé.

E’ altresì fondamentale chiamare in causa la famiglia con i suoi equilibri emotivi e relazionali coinvolgendola nell’intervento terapeutico. Ruoli e posizioni individuali nella scena familiare possono essere recuperate innescando, con la partecipazione di tutti, non della sola persona designata, un movimento teso al cambiamento e alla crescita dell’intero sistema nel suo insieme. Prendere coscienza del fenomeno patologico del mangiare troppo o pochissimo è l’occasione per riflettere sui modi con i quali la persona e la famiglia reagiscono ai problemi, avendo perso il senso d’incontrare se stessi con amore e rispetto. Va riconquistato il confronto sereno con il vero sé e con le proprie difficoltà, divenendo capaci di ridisegnare la propria immagine in modo rispettoso, accettando “difetti” e riconoscendo l’unicità del proprio essere  Il cibo non è un acerrimo nemico da vedere con occhio diffidente bensì è fonte di energia, forza e nutrimento per continuare a vivere in salute.

In un mondo in cui l’apparire conta più dell’essere, e la bellezza più dell’intelligenza, sarebbe opportuno fermarsi, riflettere e riformulare una nuova cultura dei valori, una cultura nella quale il valore di ogni individuo possa essere esaltato per la sua unicità, per la generosità, la sensibilità, l’altruismo, per la capacità di amare se stesso e gli altri, e non solo per il peso del proprio corpo e/o per le sue forme.

“In verità non c’è bellezza più autentica della saggezza che troviamo ed amiamo in qualche individuo, prescindendo dal suo volto che può essere brutto e, non guardando affatto alla sua apparenza, ricerchiamo la sua bellezza interiore” (Plotino: 205-270)

 Lino Moscato


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