Giuseppe Iapicca, il suo sguardo in un cielo ricamato di stelle

giuseppe iapicca

Ognuno di noi custodisce nel cuore un cielo blu cobalto ricamato di stelle, ognuna di quelle stelle ci ricorda una luce che la vita ci ha rubato, è una visione rassicurante, come quella delle notti d’estate quando l’orizzonte trema di mille faville ed un vento fresco e delicato sembra incitare quelle luci eterne.

Siamo, purtroppo, abitanti dell’orlo e scendiamo lungo il pendio scosceso della vita, a volte troppo affannati dalle mille vicissitudini della quotidianità per renderci conto che il tempo passa in fretta e che i reali affetti dell’esistenza possono svanire in un unico, indicibile, istante.

La prematura scomparsa di Giuseppe Iapicca, brillante studente universitario di appena vent’anni, è uno di quegli eventi che tolgono il fiato, annullano l’audio del film dei giorni che passano uguali, è una tragedia che le parole non possono descrivere, mentre si affannano a trovare un significato che la ragione non può decifrare, ma che deve, ahimè, cercare di accettare.

Ricordare qualcuno vuol dire non permettergli di scomparire, è il gesto ultimo di chi osserva quel cielo illuminarsi di un’altra piccola fiammella mentre un sorriso si spegne per sempre nel mondo del tempo che scorre, ricordare vuol dire cercare la forza di non arrendersi e fare in modo che il silenzio non cancelli la dolcezza delle memorie che ci legano a coloro che passeggiano lungo il viale dei sempreverdi.

La commossa lettera pervenuta ai familiari, scritta di pugno dal Presidente della Link Campus University di Roma, Professore Vincenzo Scotti lo ricorda così: «Carissimi, sono sconvolto alla notizia della morte di Giuseppe. L’ho visto l’ultima volta pochi giorni fa al suo esame di economia. Quest’anno l’ho incontrato spesso non solo a lezione. Abbiamo parlato: era un giovane pieno di energie, di sogni, di impegno. Ha raggiunto ottimi risultati in poco tempo. Io ho perso un figlio, Paolo, a venti anni e so bene cosa significa tutto questo per un genitore. Giuseppe tutti qua alla Link, lo ricordano con grande amicizia e affetto e sentono il vuoto che ci ha lasciato. Alla Link siamo una “piccola famiglia” e ci conosciamo tutti. In questo momento vi siamo vicini e condividiamo con voi il forte dolore. La vita è un mistero terribile e ci viene data e tolta quando non lo sappiamo e perché. Vi siamo vicini! E’ poca cosa per voi, ma vorremo che vi sia di conforto sapere che Giuseppe era amato e stimato da tutti. Sappiate che queste stanze erano familiari a Giuseppe e noi lo sentiremo sempre presente. E’ stato breve il nostro incontro; ne parlavo con alcuni studenti, suoi compagni, che erano sgomenti e non si davano ragione. A loro nome vi rinnovo un abbraccio e vorrei che sapeste che questa Università lo ricorderà sempre».

Sua cugina Cristina Iapicca gli ha dedicato queste toccanti parole: «Raccontare oggi di Giuseppe è difficile, è difficile trovare le parole per descrivere quel sorriso che trasmetteva serenità, quello sguardo timido, che imbarazzato volgeva verso il basso. Lui non si confidava spesso, si apriva con pochi, quei pochi che oggi non possono non ricordare quel mondo che lui aveva dentro, un mondo pieno di speranze, pieno di sogni e di mete da raggiungere. Voleva andare lontano, sognava il suo futuro chissà dove, voleva affermarsi, diventare qualcuno, e ne aveva le capacità. Il paesino dove è nato e vissuto non gli bastava più, voleva conoscere il mondo, voleva emergere. E di quella sua sensibilità, che un po’ lo caratterizzava, ne avrebbe fatto la sua forza, lo avrebbe guidato, se solo la vita gliene avesse dato il tempo. E quando parlava di sé e dei suoi sogni chi lo ascoltava si sentiva in dovere di metterlo in guardia, di dirgli: “Giù, attento, lì fuori non è tutto come tu pensi che sia, lì fuori c’è un mondo da affrontare”. Perché lui sembrava non fosse pronto alle incomprensioni, alla falsità, alle delusioni, alle sfide, e questo lo portava a cercare dei punti di riferimento, degli agganci solidi che potessero guidarlo. Ed è grazie al suo amore per la famiglia, per la sua sorellina, per i  cugini, per i nonni, che giorno dopo giorno costruiva se stesso. Per lui la felicità era nelle piccole cose, nei gesti, nelle parole di ogni giorno. La felicità era racchiusa in quei pomeriggi passati a casa della nonna, nel vedere la famiglia riunita a tavola la domenica, nel vedere arrivare gli zii e i cugini da Roma. E negli eventi, nelle ricorrenze, lui c’era sempre, prendeva parte ai discorsi con discrezione, spesso osservava con un sorriso, cercando un cenno, un’approvazione che potessero rassicurarlo. Forse da qualche parte esiste un mondo più giusto, più adatto a lui, al suo carattere pacifico, dove il tempo non scorrerà così inesorabile e dove lui potrà finalmente realizzare i suoi sogni».

Anche il cugino Simone Tontoli gli ha scritto una commossa lettera che ricorda il loro profondo legame: «Cugino, così poco è stato il tempo trascorso insieme. La lontananza ci concedeva poche occasioni di incontro, qualche settimana a Natale, a Pasqua e in estate. Eppure camminando per i vicoli di Mirabella e passeggiando nel giardino di nonna, migliaia e migliaia di ricordi tornano alla mente con nostalgia e dolore. Credo quindi che il modo più semplice per provare a descriverti sia quello di raccontare alcuni dei miei più importanti attimi di vita passati con te. Fin da piccolo, quando arrivavo a casa di nonna, correvo nel salone per vedere se eri lì ad accogliere il tuo cuginetto e timidamente ci salutavamo. Il nostro era un rapporto originale: non eravamo come quei ragazzi che si siedono subito attorno a un tavolo per raccontarsi vicende e novità. Noi camminavamo su e giù in quel salone senza dire una parola, fissandoci, un po’ come fanno due pugili che si studiano con attenzione sul ring. Poi però, appena una battuta rompeva il ghiaccio, ci ritrovavamo a giocare e a combinare marachelle per ore e ore, soprattutto in compagnia di tua sorella e delle nostre cugine. Crescendo le cose non sono cambiate molto. Dopo gli aperitivi di mezzogiorno passavamo insieme interi pomeriggi e quando arrivava la sera io non dovevo fare nulla, avevi già organizzato l’intera serata, a me spettava solo il compito di chiedere ai parenti il permesso per uscire e per tornare il più tardi possibile. All’apparenza potevi sembrare un duro, sempre pronto ad esordire con quella frase a effetto che si adattava ad ogni situazione e che regalava un sorriso a chiunque la ascoltasse. In realtà tutti, amici e familiari, sappiamo quanto sia grande la tua sensibilità, la tua dolcezza e il tuo altruismo. Si perché nel momento del bisogno c’eri per chiunque, pronto ad aiutare in qualsiasi modo e a dispensare consigli preziosi. Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima… beh, io credo che nel tuo caso fosse il sorriso. Quel sorriso che difficilmente mostravi nelle foto, che forse cercavi un po’ di nascondere, e che rappresentava tutta la tua voglia di vivere! Mentre scrivo questa lettera proprio non riesco a trattenere le lacrime, probabilmente perché solo ora sto realizzando di aver perso una parte della mia vita davvero troppo grande».

Attraverso lo sguardo di una sua carissima amica, Antonietta Scoppettuolo, si delinea il ritratto di un ragazzo delicato ed onesto: «Chi conosceva Giuseppe Iapicca meglio delle persone che gli sono state accanto da sempre? Giuseppe era una persona speciale. Si era costruito una corazza, si mostrava forte in ogni situazione quando invece non lo era, faticava a chiedere aiuto per qualsiasi cosa a causa del suo orgoglio. Aveva tanta voglia di vivere, non si abbatteva mai, trasmetteva gioia agli altri, offriva sempre il suo sostegno a tutti senza mai chiedere nulla in cambio. Era onesto, gentile, premuroso, intelligente, affettuoso. Anche se non lo ammetteva mai aveva bisogno di qualcuno che lo amasse e per sua fortuna ha sempre avuto una famiglia presente, per la quale lui era il senso di ogni cosa. Giuseppe era un ragazzo unico, raro, buono e così continuerà a vivere nei nostri cuori».

Il dolore della sua scomparsa è una ferita insanabile per la sua famiglia, è un dolore cieco ed incomprensibile che manifesta la sua immensità nelle dolci parole della sorella Allegra: «Spesso si dice che ripensare al passato aiuti. Quando si perde una persona cara, si dice che i ricordi siano l’unica cosa che ci resta; e invece, credo, che ripensare a tutti i momenti trascorsi insieme a mio fratello e avere la certezza di non poterli più rivivere, provochi un sentimento straziante. Giuseppe era un ragazzo unico, e vane e troppe sarebbero le parole necessarie per descriverlo. Era molto restio a mostrare i suoi reali sentimenti; difficilmente faceva capire di esserti vicino ma quando avevi bisogno di aiuto c’era sempre, con il suo sorriso accennato, il suo abbraccio timido e la frase “dì a me, dì al tuo fratellino!”. Amava ascoltare gli altri, raramente interveniva per esporre il suo pensiero; non aveva bisogno di parlare e di dire quello che pensava per mostrare di essere speciale. Dopo un complimento abbassava lo sguardo timido, e in silenzio, lusingato, ascoltava. Per ringraziarti, ti guardava con quegli occhi buoni, teneri e ti sorrideva. Non aveva molte parole dolci da dispensare agli altri, ma con le carezze appena accennate, le battute, le sue nascoste attenzioni e perfino con i litigi, mostrava di tenere a tutti. All’apparenza disinteressato ai problemi degli altri, nei momenti difficili aspettava che lo guardassi per farti l’occhiolino; quel suo strano modo di rassicurarti e farsi sentire sempre vicino. Durante le chiacchiere o le discussioni, portava imperterrito avanti le sue idee; si mostrava convinto e irremovibile, faceva finta di non ascoltarti anche se poi seguiva i consigli che gli venivano dati e, se sbagliata, cambiava senza esitazione la sua opinione. Diceva di non aver bisogno di nessuno, e invece la vicinanza e l’affetto delle persone care lo portavano in Paradiso. Ecco, ora, è proprio da lì che  ci guardi e che vegli su di noi. Felice, potrai sapere tutto; ogni cosa di quello che facciamo e che pensiamo. Proprio per questo non c’è bisogno che usi altre parole per dirti che ti voglio bene e che sei stato il fratello migliore che abbia mai potuto desiderare».

Grazie all’affetto e ai delicati pensieri delle persone che hanno avuto la fortuna di vivergli accanto, ho provato a raccontare chi fosse Giuseppe, e quale mondo incredibile si nascondesse al di là del suo fiero sguardo; ho provato a disegnare un suo ricordo nitido affinché il tempo dell’addio non cancellasse la sua breve ma intensa esistenza, non certo per tentare di lenire l’assurdo vuoto della sua perdita ma per preservare dall’ombra della dimenticanza la sua delicata giovinezza.

Anch’io ho perso molti amici nel corso dei miei anni, oggi brillano in quel cielo tiepido ed immortale che fa da scenario all’orizzonte più profondo del cuore, rammento lo strazio e il dolore cieco della loro scomparsa, il senso di assoluta impotenza che infrange in un colpo solo tutte le nostre più ferree certezze… sono passati molti anni da allora e il tempo ha segnato il mio viso di devastanti pensieri, quando vado a trovarli nel giardino della pace, la loro età non muta ed il loro sguardo ha la stessa incantata luce di un tempo.

Mi fermo davanti a loro, che sono rimasti illesi dalle inevitabili vicissitudini dell’esistenza, sono in un luogo e in un tempo che sfugge all’umana comprensione, cristallizzati nei loro anni migliori, in un’infinita giovinezza che il mio cuore non conoscerà mai… sono ragazzi come un tempo, mentre tutti gli anni che ci separano divengono cenere di un tempo che non riuscirà a scalfirli, e resteranno giovani per sempre.

E’ strano, ma questo pensiero riesce a rasserenarmi, perché il mio cuore sognatore mi sussurra: «Non è forse questa una sorta di immortalità?»

Massimo Lo Pilato


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