Hayao Miyazaki, il Re dell’animazione

miyazaki

Descrivere Hayao Miyazaki in poche righe potrebbe essere un’offesa nei suoi confronti. Ma la cosa ancora più grave è che sicuramente molti di voi non hanno mai sentito questo nome (scommetto che tutti avete visto Lupin o Heidi però…). Il Maestro è stato l’argomento della mia prima Tesi di Laurea, tesi nata da una passione emersa in pochi mesi dopo la visione de “La Città incantata”. Di seguito proverò (cercando di non dilungarmi troppo, lo prometto) a farvi avvicinare a questo fantastico mondo, senza parlare di film specifici o altro, per questo google sa il fatto suo. Se il messaggio che voglio trasmettervi vi colpirà, sappiate che ho decine di libri su di lui e tutta la filmografia, basta chiedere! Ma ora, veniamo a noi…

Nel panorama mondiale dell’animazione, Hayao Miyazaki è diventato un punto di riferimento inamovibile. Troppo frettolosamente è stato interpretato come il Disney giapponese, riducendo a parametri consueti una spettacolare energia creativa e una visione assolutamente fuori dall’ordinario.

Hayao Miyazaki ha fatto saltare le pareti dentro le quali si era voluto incasellare il cinema giapponese d’animazione, entro le quali era stato costretto da una forte pressione mediatica a seguito di una tanto crescente quanto inspiegabile campagna di demonizzazione degli anime operata da buona parte dell’opinione pubblica.

E così l’animazione giapponese ha dovuto lottare contro l’Occidente per far emergere i suoi valori, i suoi significati. La filosofia di Miyazaki unisce romanticismo e umanesimo a un piglio epico. Il senso di meraviglia che i suoi film trasmettono risveglia il fanciullo addormentato che è in tutti noi e strega le platee, capolavoro dopo capolavoro, successo dopo successo, le quali si abbandonano in un caleidoscopio di sogni, incanti e trasfigurazioni, attingendo al repertorio delle favole e non lasciandosi sfuggire l’occasione di riflettere.

Hayao Miyazaki nasce ad Akebono-cho, nel distretto Bunkyo di Tokio, il 5 gennaio 1941, secondo di 4 figli. I futuri elementi della sua arte sono già contenuti nei dati salienti della sua biografia. Nasce durante il secondo conflitto mondiale: da ciò matureranno la sua avversione per la guerra e il timore apocalittico di una catastrofe nucleare.

La sua famiglia, per sfuggire ai bombardamenti, si rifugia in campagna a Utsunomiya: lì il piccolo Hayao cresce diviso fra l’echeggiare attutito della guerra e la prossimità con una fragile pace agreste. Il padre e lo zio sono rispettivamente direttore e proprietario di una industria aeronautica che produce i timoni dei famosi caccia Zero, quelli utilizzati nelle missioni kamikaze: da qui la componente di Hayao in campo aerospaziale, che gli consentirà di creare fin nei più minuziosi dettagli le sue straordinarie macchine volanti.

La situazione di relativo benessere e privilegio vissuta durante la guerra è fonte di un profondo senso di correità riguardo le responsabilità belliche del Giappone e di colpa nei confronti delle vittime più indifese del conflitto. Più in generale, Miyazaki si farà obbligo di non descrivere mai nei suoi film quella guerra dalla quale è stato fortunosamente risparmiato.

Miyazaki ha conosciuto con le proprie opere un enorme successo in patria, accolto con entusiasmo da pubblico e critica, ma in occidente è rimasto a lungo poco conosciuto fuori dagli ambiti specializzati.

Due sono le cause riconosciute per questo tardivo riconoscimento del valore delle sue opere, due motivi in qualche modo collegati fra loro:

– il diverso modo con cui in occidente sono considerati i cartoni animati rispetto al Giappone; mentre nel paese del Sol Levante è semplicemente uno dei modi di fare cinema con un pubblico prevalentemente adulto, nella nostra cultura si è sempre ritenuta l’animazione come diretta ai bambini, influenzati forse in questo dallo “stile Disney”;

– il predominio degli Studi Disney sull’animazione mondiale ha impedito la diffusione di questi film; l’acquisizione da parte della Disney, dei diritti di distribuzione dei film dello Studio Ghibli ne ha permesso l’ingresso a pieno titolo nel mercato mondiale, seppure secondo binari di marketing differenziati rispetto ai lavori propri della compagnia statunitense.

Basti pensare che in Giappone, dalla sua uscita nel 2001, “La Città incantata” è stato visto da 23 milioni di persone (si è detto che a tutto il 2002 un giapponese su sei ha visto il film) con un incasso di circa 250 milioni di dollari statunitensi, superando ampiamente ‘Titanic’. Sul mercato statunitense il film è uscito nel 2002, incassando in un anno 10 milioni di dollari.

Per molti dei suoi concittadini, Miyazaki è un regista del calibro di Akira Kurosawa. Oggi, si è imposto come il re dell’animazione giapponese, quello che viene odiosamente etichettato come il “Walt Disney nipponico”.

Perché? Perché dobbiamo sempre rifarci a un prototipo americano per indicare e definire un qualsivoglia personaggio cinematografico, anche quando l’unica cosa che questi due artisti hanno in comune è il fatto che disegnino cartoni animati?

Pensateci bene. E’ come se si descrivesse Sergio Leone come il John Ford italiano. Errato. A parte il genere western che li accomuna, i due hanno stilisticamente poco a che da spartire!

A differenza di Walt Disney, invece, le storie di Miyazaki si dipanano lentamente fra realtà dell’immagine e metafore, offrendo fenomenali panoramiche sui paesaggi. I suoi personaggi sono rubati al sogno e la fantasia, che ben si sposa con le musiche del grande autore Joe Hirashi, si sbizzarrisce raggiungendo vette di qualità intoccabili per un film d’animazione.

Attuale, lontano dalle facili ideologie, antimilitarista, raffinato, melodrammatico e sentimentale, grande intrattenitore di tutti, sociale, anche noi occidentali abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo, di celebrarlo, di applaudirlo e di dedicargli tributi, collocando fra le più grandi personalità dell’animazione del pianeta.

Segno di gratitudine per un personaggio che ha la consapevolezza di essere uno dei registi più amati del globo, con attorno e addosso una tale onda di affetto e riconoscenza che a pochi è stata concessa di ricevere.

Andrea De Gennaro


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