E il Carro va… ma cosa non ha funzionato durante la “grande tirata”?

carro

Quest’anno, durante la tanto attesa “tirata” dell’obelisco dorato, qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto. Improvvisamente, sotto gli occhi increduli di quanti erano presenti, stava accadendo ciò che mai nessun mirabellano si augurerebbe di vedere nell’arco della propria vita: il Carro che si inclina paurosamente su un lato e che sta per schiantarsi al suolo.

Pochi attimi concitati, densi di grande tensione, panico, sbigottimento in cui avrebbe potuto consumarsi una vera e propria tragedia. Fortunatamente il sangue freddo e la tempestività di reazione dei così detti “funaioli” ha fatto sì che si evitasse il peggio.

Sono sicuramente episodi, questi, che lasciano l’amaro in bocca, soprattutto a coloro che il Carro lo sentono parte integrante ed irrinunciabile dell’essere mirabellani, e lo vivono da sempre in prima persona non solo come momento di festa che vede l’inedita commistione tra tradizione, fede e folklore, ma come una vera e propria manifestazione di fierezza dell’identità eclanese che ognuno, nel bene e nel male, si porta dentro.

Uno di questi è il nostro concittadino Mario Belmonte, da oltre 50 anni sempre in prima linea tra i funaioli, che ha voluto esprimere, attraverso le pagine de “La Fenice on-line”, tutto il suo disappunto per quanto accaduto. Non ci sta Mario a sentire le parole di quanti hanno affermato che «Il Carro non sarebbe mai potuto cadere», e si definisce un «cittadino molto incazzato» e deluso per la vicenda.

Signor Belmonte, cosa, a suo parere, non ha funzionato quest’anno durante la “tirata”?

«Secondo me la causa principale è da imputare alla mancata sintonia tra gli organizzatori, al fatto che il timoniere non fosse in contatto con i quattro lati, che comunque si attengono a ciò che dicono i due conduttori avanti: è una questione di intesa. Molto spesso questa manca, forse anche a causa della foga della gente sotto, e proprio questo rappresenta un grosso motivo di difficoltà per tutti noi funaioli. Sono sempre i timonieri a guidare il Carro, noi funaioli fondamentalmente lo manteniamo solo in asse. Il Carro ha una struttura piramidale perfetta: se sta fermo non può cadere. Quindi nei momenti più delicati il Carro deve fermarsi e dare il tempo a tutti di coordinarsi adeguatamente. Cosa che quest’anno non è accaduta. Ad ogni modo, mi rendo conto che coordinarsi all’interno del Carro non è compito semplice con il chiasso che c’è».

Il fatto che molti ragazzi aspettino questa giornata come occasione per “sballarsi”, sfrenarsi, ubriacarsi e “per tirare fuori la parte peggiore di sé”, come è stato scritto su qualche forum, secondo Lei influisce sull’andamento della “tirata”?

«Certamente, e come tale è un atteggiamento che mi sento di condannare. La tirata ha sicuramente bisogno di maggior rigore, ma a mio parere ciò diventa un qualcosa di relativo, per così dire, perché per le generazioni “più anziane” quando si parla di “tirata” del Carro si parla di una tradizione vera e propria, nel senso che viene rispettata la sacralità del momento; e poi ad una certa età certe cose non si fanno più. Può capitare al ragazzo più giovane di cercare lo sballo facendo abuso magari di alcool per sentirsi un po’ più su di giri, però per noi più maturi la “tirata” del Carro è un momento sacro. Se qualche cosa non funziona, ripeto, è sempre dovuto all’organizzazione dei quattro lati perché si sa benissimo che i comandi dati affinché il Carro possa compiere il suo tragitto sono sempre quelli».

Quindi, secondo la sua opinione, qual è stato l’errore per il quale il Carro si è pericolosamente inclinato?

«Tutto è avvenuto in cima alla stradina privata adiacente via S. Angelo, da noi conosciuta come quartiere “su dai Tecce”. In quel frangente i timonieri avrebbero dovuto dare ordine di fermarsi perché determinate manovre vanno coordinate adeguatamente, in modo da dare il tempo alle funi del lato sinistro (oppure destro se si guarda il Carro frontalmente), dove io tiro il Carro da oltre 50 anni, di scendere ed allargarsi per permettere poi la manovra finale per transitare su quella piccola discesa. Praticamente dalle funi di quel lato, composte da circa 11-12 persone, qualcuno scende e va giù, proprio al di sotto di un piccolo muretto che si trova lì, per permettere a chi rimane su di passare le funi di modo che queste non rimangano mai “sfornite”, essendoci sempre la metà delle persone pronte a tirare. Quest’anno così non è stato in quanto intere funi si sono distaccate, rimanendo senza controllo. Questo proprio perché i timonieri non hanno dato ordine di aspettare, non hanno fermato il Carro per dare il tempo di eseguire quanto detto, bensì hanno dato il comando di proseguire, forse presi dalla foga di superare quanto prima possibile quel punto. Chiaramente il lato destro si è trovato sguarnito di persone: tre funi solamente erano ancora al di sopra del muretto, per cui la situazione non era più gestibile. È un momento in cui tutti noi funaioli sappiamo che il Carro si deve fermare per permetterci di effettuare questa manovra: è un frangente in cui non c’è quell’attenzione particolare che abbiamo durante la tirata, in cui siamo un po’ tutti rilassati… e proprio quest’anno è successo quello che è successo».

Chi si trovava sotto le funi come ha vissuto quel momento? Vi siete resi conto subito di quello che stava succedendo?

«Io personalmente sì. Diciamo che la mia fune era già scesa dall’altra parte. In quel punto, durante la discesa, molte funi vanno sotto l’inferriata che c’è sul tragitto per non far rovinare la paglia del Carro, per tenerla a distanza dai parapetti, per cui si fa questo “passamano” con le corde. Io generalmente resto su per fare ciò. Quindi quando è successo ciò che mai mi sarei aspettato, io sono stato preso dal panico, dallo sgomento, non saprei nemmeno come definirlo, misto ad incredulità. Ma in quei pochi secondi così concitati, per fortuna, abbiamo avuto la lucidità di avventarci sulle funi e siamo riusciti a rimettere in piedi il nostro “gigante di paglia”, scongiurando così il peggio. Dopodiché ho lasciato la mia fune, e devo ammettere che non sono più riuscito a riprenderla in mano per tutto il tempo restante che mancava all’arrivo… avevo paura. Paura di toccarla. Paura che ai miei occhi potesse ripresentarsi l’agghiacciante scena di pochi secondi prima».

Ci sono state altre occasioni, lungo il percorso, in cui ritiene che le cose non siano andate come avrebbero dovuto?

«Bene o male tutti noi veterani della tirata conosciamo quali sono i punti più difficoltosi. Un’altra cosa che quest’anno non è andata come avrebbe dovuto si è verificata poco dopo, in via Maddalena. Generalmente in quella discesa, che prelude all’arrivo, il Carro ha un suo portamento; quest’anno posso dire che era esattamente il contrario: praticamente si camminava con il timone fisso a terra, quando avrebbe dovuto essere leggermente rialzato dal suolo (il che avrebbe gli conferito l’andatura tipica che assume in quel punto).  Specialmente i due lati, nelle parti strette del percorso, c’entrano poco e niente: è semplicemente una questione di direzione. Davanti alla pizzeria le funi di dietro arrivano dritte, mentre quelle davanti già sono verso destra proprio per mettere al Carro di attraversare quella piccola curva compiendo quel caratteristico movimento a “c”: c’è una sorta di “sbilanciamento” nel suo equilibrio perché non è retto più dalle funi anteriori e posteriori, bensì solo da quelle laterali. E se queste ultime vengono mal coordinate è ovvio che il Carro si inclina su uno dei lati».

Come pensa che si potrebbe ovviare a questo problema di coordinamento?

«Stabilendo dei posti ben precisi dove il Carro deve fermarsi per dare il tempo ai funaioli di fare quello che devono fare: spostarsi, fermarsi, tirare e via dicendo. Perché diciamo che per certi versi per noi esperti funaioli alcuni movimenti sono diventati istintivi. Però ci sono dei punti particolari che hanno bisogno di particolare coordinazione tra i quattro lati se no si rischia veramente di farlo cadere. Anche la manovra nel punto del “lemmetone” è delicatissima e qui il coordinamento è assolutamente fondamentale, perché basterebbe un comando sbagliato per far degenerare la situazione. Un altro problema, inoltre, è rappresentato dal fatto che spesso tra le funi si “avventurano” numerosi turisti, fotoamatori, persone con carrozzine, passeggini etc… che non sanno effettivamente come funziona la ‘tirata’, mossi dalla curiosità di osservare l’imponente obelisco dal di sotto, che corrono il serio pericolo di essere travolti dagli improvvisi movimenti di noi funaioli: è come un’onda che travolge tutto ciò che si trova davanti. Qualche volta ciò è capitato, quindi anche la forza pubblica credo dovrebbe essere più “preparata” a gestire questo tipo di evento, non permettendo ai curiosi di addentrarsi tra le funi. Perché mi rendo conto che la vista del Carro genera curiosità nei forestieri, tutti vogliono vederlo da vicino, toccarlo, vivere quest’emozione “dall’interno”, per così dire; molti alzano addirittura la paglia per vedere la struttura che lo sostiene. Ma fare ciò durante la tirata è assolutamente pericoloso».

Secondo Lei questa tradizione andrà avanti oppure è destinata a finire?

«Io, ovviamente, spero che continui, però ci dovrebbero essere dei presupposti diversi. Innanzitutto ci sarebbe bisogno di un maggiore sostegno da parte delle istituzioni, del Comune (ricordiamo che il Carro è bene comunale), ma soprattutto di uno spirito rinnovato, sicuramente differente da quello che vedo oggi».

In che senso?

«Nel senso che il Carro non deve diventare una “questione privata” o di qualche famiglia in particolare, ma “bene comune”. Fino a che il Carro sarà dei mirabellani, io credo che durerà sempre, se però dovesse diventare “affare” riguardante ‘pochi eletti’, allora la tradizione andrebbe morendo, fino a scomparire del tutto».

Concludendo, Lei avrebbe qualche proposta “concreta” per far sì che questa tradizione non vada a perdersi, bensì possa continuare nel tempo? 

«Consiglierei all’Amministrazione comunale di creare, attraverso un conto corrente postale, un fondo destinato esclusivamente alla manutenzione del Carro, prescindendo dalla tradizionale “questua” che si effettua ai fini dell’organizzazione dei festeggiamenti civili, a cui tutti i cittadini, compresi quelli residenti all’estero, possano partecipare durante tutto l’anno. E’ cosa nota che i costi inerenti la  cura, il restauro, il rifacimento dei “registri” del nostro amato obelisco siano ingenti, ma credo che, riuscendo a mettere da parte una cifra di cui disporre annualmente, tutti noi mirabellani, insieme, nel nostro piccolo, potremmo fare tanto per salvaguardare il nostro gioiello di paglia e tutta la secolare tradizione che esso porta con sé».

Fabiola Genua


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