Mirabella Eclano: le occasioni mancate, le opportunità perdute e gli interventi da realizzare

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Che cosa è oggi la “città” per noi? La città, o meglio ancora, l’agglomerato di case è un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio. La città è un luogo di scambio (come spiegano tutti i libri di storia dell’economia), ma questi scambi non sono soltanto di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.

Nei giorni scorsi, mettendo ordine nella libreria, ho rispolverato “Le Città Invisibili”, un’opera  di Italo Calvino che oscilla fra il racconto filosofico e quello fantastico-allegorico.

Nelle “Città Invisibili” non si trovano quindi città riconoscibili, ma «immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici», per offrire al lettore spunti di riflessione sulle problematiche delle città.

Infatti, per quanto possa sembrar strano, Calvino, con la sua grandiosa fantasia, non avrebbe potuto descrivere meglio il tema della città in funzione degli uomini in contrapposizione di quella che, giorno dopo giorno, nonostante i proclami degli amministratori locali, diventa un luogo di dissociazione.

La comunicazione (così come ogni essere umano è portatore di una particolare visione delle cose), oggi più di ieri, è veicolata dal linguaggio, il quale, come evocatore di immagini, non permette pienamente la condivisione delle proprie interpretazioni.

Il vivere comune non deve essere motivo di un isolamento individuale, perché in caso contrario la “città” muore e i suoi abitanti, già morti dentro, l’abbandonano.

Quindi è giusto interrogarci su cos’è e su cosa dovrebbe essere la città di Mirabella Eclano e per l’occasione abbiamo rivolto delle domande ad un cittadino eclanese, Vincenzo Vecchione, docente di Politica Economica e Sviluppo Sociale presso l’Università degli Studi di Foggia.

Quali linee di sviluppo sono ipotizzabili per la città di Mirabella Eclano?

«Non è semplice dare una risposta credibile e fondata su elementi solidi per chi la realtà del territorio non la conosce con esatta puntualità, essendo ormai da molti anni di fatto estraneo alla realtà locale. Posso basare le mie considerazioni solo su impressioni estemporanee, come chi si trova a osservare un luogo che rivisita dopo un periodo di lunga assenza».

E quali sono le impressioni e suggestioni che si ricevono, quando si ritorna a Mirabella Eclano?

«La prima, e più forte, sensazione è quella di trovarsi in un ambiente molto frammentato e poco armonico, che sembra aver perso la propria originaria identità e privo di una nuova e ben delineata prospettiva. Sembra che si sia smarrito il senso profondo dell’appartenenza a una Comunità con alle proprie spalle una storia plurimillenaria e con tradizioni consolidatesi nei secoli, nonostante gli stravolgimenti causati dai tanti terremoti che più volte l’hanno colpita e dagli eventi storici che l’hanno interessata. Percorrendo le strade del centro storico di Mirabella, si nota una forse incosciente volontà di cancellazione del passato a cui però si sostituisce solo il vuoto e non un disegno del futuro. Forse le mie riflessioni sono dettate dalla nostalgia di quello che è stato, per la mia formazione e crescita, il paese della mia infanzia e giovinezza o di quella che era la visione che, dopo il terremoto dell’ottanta, avevo della sua rinascita. Ma è ciò che profondamente sento. Molto probabilmente un altro, davvero estraneo a questa realtà, vedrebbe cose diverse e svolgerebbe considerazioni differenti».

In questa visione, quali sono le occasioni mancate e le opportunità perdute?

«Il vero e più profondo limite è stato quello di non aver riflettuto seriamente sugli errori fatti nella ricostruzione seguita al precedente terremoto del 1962 e di aver ignorato l’effettiva gravità del sisma del 1980. L’idea di fondo, che ha pervaso la mentalità di chi ha gestito la ricostruzione degli anni ottanta, è stata quella che fosse sufficiente soltanto rimettere in moto il processo di riedificazione edilizia per riportare tutto allo ‘status quo’ precedente. Non si è, quindi, tenuto in debito conto di quanto e come, a seguito del terremoto, fossero mutate le relazioni all’interno del territorio comunale, in particolare tra centro storico e zona di nuova espansione, nonché tra Mirabella e le sue frazioni. Come pure non si è percepita la perdita di ruolo del comune rispetto a quelli limitrofi, dopo il blocco delle attività per i gravi danni subiti essenzialmente nel centro storico. Inoltre, l’abbondanza dei finanziamenti disponibili non ha portato a indirizzare le risorse nel modo più efficace ed efficiente. Si è ritenuto che il flusso di danaro potesse rendere tutti ricchi, felici e contenti».

Quali erano, quindi, gli interventi da realizzare?

«Innanzi tutto, sarebbe stato opportuno delineare un piano di sviluppo economico territoriale per consentire una riqualificazione delle attività produttive e per assegnare a ogni parte del territorio comunale una funzione specifica secondo le caratteristiche di ognuna. Ciò anche in funzione di rafforzare il rapporto di interdipendenza con i Comuni limitrofi. In altri termini, la redazione del piano doveva essere effettuata secondo una logica di Area vasta e non limitarsi a dare solo una regolazione interna. Questa logica avrebbe evitato la dispersione, in modo disarticolato e poco funzionale e ordinato, delle attività produttive, che si sono collocate in modo spontaneo e disordinato lungo le arterie di grosso traffico (Strada Statale), se non dove hanno trovato spazi disponibili, e non in aree a esse appositamente deputate con i necessari servizi per la loro ulteriore crescita. Inoltre, avrebbe impedito la devastazione del territorio causata da una scriteriata espansione edilizia e che ha alterato il rapporto tra campagna e centri urbani e ha selvaggiamente deturpato il paesaggio. Attualmente, il territorio si presenta nel suo insieme come un’enorme e indistinta periferia, avendo perso il centro storico la sua funzione di baricentro rispetto sia alle frazioni sia alle contrade sia agli altri Comuni che hanno storicamente gravitato intorno a Mirabella senza che qualche altra zona del territorio comunale abbia assunto questa funzione».

Di fronte a questo quadro cosa è possibile fare?

«Le indicazioni che mi sento di poter dare sono solo di carattere metodologico, non disponendo di dati e di analisi sui quali poter tracciare delle linee di intervento plausibili e impostare dei progetti concretamente attuabili. Per prima cosa sarebbe necessario indagare la realtà per individuare quegli attori (in particolare imprese) che svolgono un ruolo leader nel territorio. Si tratta di accertare se vi sono imprese produttive che hanno la capacità di competere almeno sul mercato regionale e hanno potenzialità di ulteriore sviluppo. Come pure sarebbe utile verificare la qualità e le effettive competenze del capitale umano operante sul territorio. Infatti, i processi di sviluppo sono frutto dell’azione umana e della capacità degli uomini di immaginare nuovi scenari, nuovi prodotti e nuovi modelli di produzione e di scambio. Le Comunità che progrediscono sono quelle che hanno solidi valori di riferimento e credono fortemente nella loro capacità di modificare la realtà. Quelle che invece ristagnano tendono ad attribuire le cause dei propri limiti e fallimenti a un destino avverso o a fattori esterni e, per giustificare la loro inerzia, si attardano a ripetere che niente può cambiare e che, perciò, è inutile darsi da fare. Per queste società gli ostacoli, che tutti incontriamo nella vita, sono ritenuti insuperabili e, perciò, si assume un comportamento attendista, delegando agli altri di trovare le soluzioni ai propri problemi. Esse dimenticano che il mondo è conquistato da chi mette in gioco se stesso e non ha paura di fallire e da chi crede fermamente che ‘la fortuna aiuta gli audaci’».

Benigno Blasi


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