2 Novembre… una candela tra i veli della notte

candela nel buio

Ci sono immagini che permeano la nostra esistenza e le infondono un significato nuovo, sono volti, sguardi, sorrisi, sono densi scorci di un mare d’emozione che, calmo, pettina la sabbia della memoria, sono profumi lontani intrisi nell’anima che ritroviamo all’improvviso nell’alba subitanea che respira attraverso le colline, sono i colori del cielo dilaniato da un sanguinante tramonto, sono le parole e i gesti che più non tornano e nel nostro cuore ridestano la stessa emozione di quando li abbiamo vissuti.

Ho un’immagine custodita nel cassetto polveroso del cuore che mi racconta il 2 novembre: mia nonna china alla madia del salotto, le sue mani di cartapesta che lente accarezzano una cornice di mogano scuro, attraverso il vetro foto di volti in bianco e nero che la osservano e una lacrima di cristallo che inciampa nelle sue rughe. Sono i volti del suo passato che le rammentano il silenzio della mancanza e la luce delicata di un legame che sfida il dipanarsi indifferente del tempo.

Lei si volta e mi sorride, nei suoi occhi glauchi rivive tutto il suo mondo, nelle sue parole ci sono stagioni spezzate da subitanei declini, la luce della candela che ha acceso per quei volti è un faro nella tempesta dei sentimenti perduti.

Sono passati vent’anni da quel ricordo, allora ero troppo giovane ed estraneo alle amarezze della vita per capire l’essenza di quel gesto, per riuscire a cogliere il significato che celano semplici istanti prima che il tempo li trasformi in memorie. Lo comprendo ora che le stagioni ci han diviso ed il nostro tempo insieme è racchiuso tra la memoria e i sogni, lo comprendo ora che mia figlia porta il suo nome ed io riesco a percepire la delicata emozione di riascoltarlo ogni volta che la chiamo.

La vita è infinitamente complessa, ci regala consapevolezza quando abbiamo ormai perso il disincanto per possederla.

Tutte le nostre esperienze, le nostre gioie, gli errori e i fallimenti ci parlano di un legame, di un segreto svelato a chi più ci comprende, ogni nostro vissuto ha un valore solo se condiviso con i nostri cari, perché attraverso il  loro sguardo riusciamo ad osservare il mondo in una luce che ce lo renda migliore di ciò che è in realtà.

Siamo ostaggi di un tempo che scorre senza lasciare traccia del suo segreto levigare e che all’improvviso ingenera mancanze profonde come tonfi di silenzio nell’ordinato battere del cuore.

Ognuno di noi cela un dolore, una lacrima profonda come un segreto, una vicinanza divenuta un vuoto, un’ombra sottile che lenta si insinua nell’organizzato scorrere dei giorni, nelle mille ricorrenze di ciò che la gente chiama realtà, nel ventaglio delle stagioni che mutano attraverso la danza del tempo.

Il 2 novembre ci racconta queste mancanze, rinnova in noi il dolore per coloro che ci hanno lasciati lungo il cammino, incendia di luci tremanti il paese della pace e del silenzio, il luogo dove il tempo è infranto e tra schegge di memoria ricerchiamo i nostri legami più puri.

Ci si accorge di invecchiare quando il cimitero non è più un paese di estranei, quando ogni viso, ogni nome ha una storia da raccontare, quando le foglie inondano le strade ed il calore dell’estate svanisce in una processione di lucciole.

Il confronto con la morte, con il distacco, con la vuota consapevolezza del sempre e del mai, è una tenda velata sui riflessi del nostro cuore, è brace rovente sotto la cenere dei giorni che passano uguali, è una paura antica per l’infantile meraviglia del nostro spirito.

Il nostro corpo è soltanto un abito che riveste la luce che ci anima il cuore, un abito logorato dal tempo e dal dolore, che alla fine viene riposto nell’infinito guardaroba del cimitero, un guardaroba di marmo e di nomi di metallo che ci ricorda l’immensa caducità dei nostri passi sul mondo.

E’ la luce, che quell’abito proteggeva, la fiamma eterna che giustifica il nostro viaggio, quella luce è una stella che spaventa il buio cosmico con la sua timida energia ed attraversa con il suo sfavillante mistero le tenebre oscure della notte.

Non dovremmo mai dimenticare che nei nostri occhi continuano a brillare gli sguardi perduti di chi ha riposto il suo abito sulla collina dei sempreverdi, non dovremmo mai dimenticare che la loro luce è la forza che rialza il sole dal baratro della notte affinché una nuova alba possa accarezzare delicatamente il nostro domani.

Ora che non sono più un ragazzo e gli anni hanno riempito di parole le pagine del mio diario, torno nel giardino dei giorni spenti per ritrovare in quei visi immoti la dolcezza delle stagioni e l’abbraccio sincero del legame che mi tiene stretto ad essi.

Passeggiando tra i vicoli stretti delle cappelle, mentre la sera accarezza di vento l’orizzonte, nei miei passi ci sono le chiacchierate con Biagino Rossetti mentre passiamo la notte accanto al forno, aspettando che i nostri dipinti diventino ceramiche, c’è l’orgoglio di Romolo Giannasca che mi osserva dal corridoio dell’ospedale, accarezzandosi piano il suo nuovo  camice da  medico, c’è il volo silenzioso e scioccante di Annibale Memmolo verso il perduto sguardo materno, c’è l’allegria dilagante di Nello Cerrato che riempie una busta di giochi  pirici e non vede l’ora di accendere il sorriso dei suoi figli incendiando la notte di colori e boati, c’è la serena senilità di Antonino Sirignano, seduto accanto ai miei colori che disegna un tempo sconosciuto alla mia giovinezza, ricamato dalla sublime arte di sua moglie Antonietta, c’è la saggezza infinita del professore Aquilino Sforza, che indirizza i miei passi su una scalinata di libri, c’è l’augurio sincero di Carmine Bove che addolcisce l’inaugurazione della mia prima mostra di pittura con un vassoio di pasticcini, c’è la raffinata eleganza di Don Guido Rocci e la sua mano tesa nel difendere i più deboli, c’è il sorriso di Antonio Lecce che compra doni ai suoi nipoti la vigilia di Natale ed il suo abbraccio eterno con Pasquale Grieci, c’è l’aroma di caffè della mattina che si ridesta insieme al saluto paterno di mio suocero, c’è lo sguardo profondo di mio padre e la fierezza dei suoi avi dischiusa nelle sue parole, c’è tutto un mondo di affetti e rapporti che la morte ha tentato di portarmi via ma che nel mio cuore brilla come una candela accesa tra i veli della notte e mi da la forza, ogni singolo giorno, per affrontare l’estenuante lavoro del vivere.

Ho scritto questi miei ricordi conscio di aver dimenticato un’infinità  di persone, spero, con tutto me stesso, che chiunque legga queste righe possa aggiungere i propri nomi e riesca a ritrovare, nell’ombroso silenzio di questa giornata, la magia di un ricordo e il coraggio di un sorriso affinchè il tempo e la sua infaticabile caduta non vincano sull’intatta meraviglia dei nostri giorni migliori e sulla memoria di chi li ha resi unici.

Massimo Lo Pilato

 

 

 


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