Spartiti di una vita… in ricordo del professore Michele Famiglietti

Famiglietti9Ero solo una bambina, quando entrai per la prima volta, nella “stanza della musica” di casa Famiglietti, un antico studiolo, dove, oltre al timido raggio di luce di una finestra che affacciava sul retro della scuola, rifletteva  la preziosità di libri e cimeli, accuratamente custoditi.

Il mio sguardo, tremendamente curioso e riverente, fu subito catturato da un gioiello unico e imponente: il pianoforte (uno splendido Maurer, in radica rosa, abbracciato da due candelabri in ottone). Quella stessa stanza, che per anni ha accolto lo sciame di note e pensieri del professore Famiglietti, rappresenta ancora oggi, nello scenario di teneri ricordi, un luogo magico, direi spirituale, dove la musica apriva le ali, accarezzando l’anima, dando vita e senso alle cose.

Per me, che ebbi la fortuna di respirare la magnifica atmosfera di quella casa, inebriata dal profumo di biscotti appena sfornati, dove i suoni erano una festa, la foto in bianco e nero di quel dolce maestro, non rappresenta soltanto un ricordo ingiallito dal tempo, ma il significato più vero e profondo, del mio speciale legame con la musica.

Salvatore Michele Famiglietti: “il professore Famiglietti”, adorava serbare in quelle pareti raccolte, la parte più viva del suo animo nobile e gentile, che entrava in comunione con chiunque gli stesse accanto, per mezzo dell’amore viscerale che nutriva per la musica.

Quarto di sette figli, nato a Frigento il 17 dicembre 1912, era poco più che un ragazzo, quando scelse di trasferirsi nel novarese per intraprendere gli studi seminaristici dell’opera di Don Guanella, convinto che un giorno sarebbe diventato prete.

In quegli stessi anni, venne fuori la predilezione per la musica e il canto. Le sue spiccate doti artistiche gli diedero l’opportunità di vincere una borsa di studio per il Conservatorio di ‘Santa Cecilia’, a Roma. Qui, vi restò ben poco, poiché la sua scelta non fu accettata dal padre Giuseppe.

Riprese quindi gli studi presso il seminario ‘Guanelliano’, all’interno del quale, fu scelto, fra tanti, per cantare da solista il Te Deum, dinanzi a Papa Pio XI. Terminati brillantemente gli studi, tornò giù al paese, dove avvenne l’incontro con Giovanna (affettuosamente chiamata Nina), colei che presto, sarebbe diventata la moglie.

Un amore profondo e sincero, che lo indusse a rinunciare ai voti e dal quale nacquero Giuseppina, Lina e Brunella. La sua famiglia rappresentava quel mondo perfetto da custodire gelosamente, luogo di aperto dialogo e incontro di pensieri profondi, nel quale si esplicava un’intensa attività di sentimenti puri, che trasmetteva alle figlie, attraverso la riservatezza e la determinazione di poche parole: «Non si vive di solo pane!».

Con gli stessi principi morali e l’onestà dei suoi ideali, partì per la guerra. Ad Adria (provincia di Rovigo), rivestì il ruolo di scritturale presso l’ufficio di mobilitazione. Al rientro a casa, donò la fede alla Patria.

La sua lunga carriera di insegnante elementare ebbe inizio a Migliano di Frigento (per i suoi tragitti quotidiani, che lo portavano da casa a scuola, utilizzava la bicicletta). Nel contempo, il suo ruolo professionale di docente, si arricchiva di esperienze musicali uniche, ricolme di soddisfazioni: organista del Duomo di Frigento, interprete di diverse rappresentazioni teatrali di Eduardo De Filippo, dove ebbe modo di appassionare il pubblico con un altro dei suoi numerosi talenti: la recitazione e la destreggiante materia dell’improvvisazione.

Scrisse un componimento sacro per il Santuario del Buon Consiglio, incidendo un disco, dal titolo: Lauda a Maria S.S. del Buon Consiglio. Un trentatre giri con testo di Filippo Flammia, un inno cantato dalla figlia Lina Famiglietti, che a sua volta, sulle orme del padre, intraprese lo studio del canto (la sua voce, inconfondibile e pura squarcia ancora il silenzio che l’avvolge serena).

Istituì una filarmonica itinerante, durante gli anni di insegnamento presso l’Istituto Magistrale Parificato (R. Schettino) di Frigento. Nel Rigoletto di Verdi cantò: La donna è mobile.  Interpretò l’Avaro di Moliere e La Tosca di Puccini. Ma la sua grande passione per la musica e l’amore generoso per la scuola -affermazione di un’intensa attività al servizio degli altri – si esplicò in forma grandiosa e creativa proprio a Mirabella Eclano.

Fu assegnato al collegio scolastico della contrada Chiocche del Forno nel 1948. Allora la scuola prendeva vita all’interno di una struttura a forma di torre, animata da 60 alunni (1ª,2ª,3ª elementare) che sfidavano il buio della sera con prodigiose lampade ad acetilene.

L’importanza della formazione delle nuove generazioni, dei loro ideali comportamentali, fu alla base di tutta la sua esperienza umana e professionale. Con impegno e dedizione, lavoro costante svolto umilmente dietro le quinte del grande teatro scolastico, illuminava gli anni giovanili di allora: a lui si deve l’ideazione dell’indimenticabile Giornalino Scolastico, che per diversi anni, fece tappa in varie scuole d’Italia. Formò la Schola Cantorum Eclanese, la prima formazione canora che il nostro paese possa vantare.

Diede vita allo Zecchino D’oro di Mirabella. Erano gli anni 1984/85. Dedito ai viaggi di esplorazione di luoghi sacri, mete delle stagioni della sua vita, collezionava inviti di concorsi musicali, ai quali presenziava nelle giurie di commissione. Pasqua, Natale e tutti gli altri appuntamenti liturgici erano il suo pane quotidiano. Non ripose, nella stanchezza degli anni il fervore per la messa cantata. Organizzò canti cresimali, persino poche ore prima della sua morte, avvenuta il 27 maggio del 1989.

All’attaccapanni della sera appendeva la figura, attenta e premurosa, di marito, padre, nonno, per vestire quella del musicista, a lui tanto affezionata. Spesso si estraniava dal rumore del mondo: per ben tre volte rimase chiuso nell’enorme edificio scolastico, assorto dall’improvvisa poesia di note che gli ispirava la quiete dell’aula magna.

Ma dei suoi ricordi più vivi – immagini e sensazioni che incorniciano quegli anni spensierati – il maestro Famiglietti a bordo della sua mitica panda bianca, intraprendeva, riservato e compito, il viaggio costante all’insegna dei valori incontaminati, insegnamenti umani che hanno dato senso e corpo al tessuto sociale di un’epoca permeata da  mutamenti, e che egli, in spirito di umiltà, ha generosamente lasciato a chiunque ha saputo cogliere, dalle radici di quella preziosa esperienza di vita, una sola certezza: niente di ciò che facciamo per compiacere noi stessi, ha lo stesso valore di ciò che possiamo fare per il bene degli altri.

Il ricordo del maestro Famiglietti è una preziosa cartolina inviata al cuore di coloro, che, leggendo questa trama, si immergono nei colori di un tempo passato, di chi gli è vissuto per anni accanto e avverte ancora il sapore nostalgico di una sua carezza, della sua incoraggiante parola di conforto, di un suo bacio scacciapensieri che, con amore, vinceva il buio della notte.

                                                                                                                                                                       Anna Esposito


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