La storia di Mina Cappuccio che realizza il suo sogno alla N.A.S.A

Mina Cappuccio

A raccontarci la sua storia di “Mirabellana nel mondo” questa volta è Gelsomina Cappuccio.

Brillante ingegnere, “Mina” è figlia di mirabellani che negli anni cinquanta lasciarono l’Italia col sogno di garantire ai loro figli un futuro migliore.

Una speranza, questa, ampiamente realizzata: dopo la laurea in Ingegneria meccanica e il Master all’Università di Stato della Pennsylvania, infatti, Nina si è guadagnata un posto di lavoro alla N.A.S.A. E’ arrivata a dirigere un gruppo di 38 ingegneri e oggi è impegnata in ricerche per missioni future sui pianeti di Venere e Saturno. Grata ai suoi genitori e all’America per la sua carriera, Mina non smette di sentirsi italiana.

I suoi genitori sono mirabellani ma lei è nata in Inghilterra… vuole spiegarci come mai i suoi emigrarono prima nel nord Europa e poi negli Usa?

«Mio padre è il terzo di sette figli. Suo fratello maggiore emigrò in Venezuela nel 1950. Due delle sorelle più giovani di mio padre emigrarono, invece, in Inghilterra nel ’55, aiutando i miei genitori a trovare lavoro e dunque a trasferirsi lì, quattro anni più tardi. Intanto i miei nonni emigrati a Boston, incoraggiarono mia madre e mio padre a trasferirsi negli Stati Uniti: nel ’66 li raggiungemmo…io avevo quattro anni. Nelle loro intenzioni c’era sempre quella di garantire a me e ai miei fratelli un futuro migliore».

La sua carriera è costellata  di successi, culminati con quello che è il suo impiego attuale presso il Centro di ricerche Ames della Nasa. Crede che un simile traguardo avrebbe potuto raggiungerlo anche se fosse nata e cresciuta in Italia?

«Devo riconoscere di sentirmi molto fortunata per il traguardo raggiunto nella mia vita e devo ammettere che se sono arrivata fin qui, un grazie lo devo in primis ai miei genitori che hanno creduto in me, dandomi la possibilità di studiare e realizzare i miei sogni. In secondo luogo, però, sono grata agli Stati Uniti e in particolare a Boston, dove sono cresciuta, mi sono trovata nel posto giusto proprio quando si iniziava a parlare di “corsa allo spazio”. Ero la primogenita della famiglia…e quando i miei nonni sono tornati in Italia, mi sono rimboccata le maniche per aiutare i miei genitori, senza mai perdere di vista l’obiettivo…ovvero portare avanti i miei studi. Il mio impegno è stato premiato con l’ammissione al rinomato liceo “Boston Latin High School”, dove i miei ottimi insegnanti mi hanno incoraggiato a seguire un percorso di studio ingegneristico. Fu dopo la laurea in Ingegneria meccanica e il Master che ricevetti una proposta di lavoro dalla NASA: il mio sogno si era avverato. Penso che se fossi cresciuta in Italia non avrei avuto una simile opportunità».

Il suo deve essere un lavoro molto entusiasmante, ma se dovesse scegliere, qual è il progetto che l’ha appassionata maggiormente?

«Uno dei progetti più entusiasmanti che ho realizzato è senza dubbio Sofia (Osservatorio stratosferico per astronomia infrarossa), con cui osservare fenomeni astronomici per il progresso del genere umano e della scienza. Lavorando a questo progetto, di fondamentale importanza per la comunità scientifica, sono rimasta impressionata dall’estrema dedizione posta da ingegneri e scienziati… mi piace lavorare con persone che amano il loro mestiere».

Essendo nata in Inghilterra e poi trapiantata negli Usa, può dirsi fortunata  non avendo vissuto il dramma di coloro che negli anni ‘50 furono costretti a lasciare l’Italia. Ma cosa ci dice, al contrario, del suo primo impatto con Mirabella Eclano? Quanti anni aveva?

«Avevo sei anni quando andai a Mirabella. Conobbi il paese natale dei miei genitori e mia nonna materna, che ci ospitò. La sua casa era molto vecchia… era tutto così diverso, ma non avvertì alcun disagio… ero troppo piccola. I miei ricordi sono tutti legati a momenti di spensieratezza: imparai a conoscere l’importanza delle relazioni familiari. Ricordo di aver vissuto emozioni contrastanti al momento della partenza: da una parte mi dispiaceva lasciare la famiglia, ma dall’altra sapevo che abituarmi a quel diverso stile di vita sarebbe stato difficile per me».

Dunque non le è mai sfiorata l’idea di trasferirsi a Mirabella Eclano?

«Sono molto felice in California, la vita mi ha regalato molte belle esperienze e ho coltivato qui moltissime amicizie. Questo non toglie, però, che mantengo sempre vivo un contatto con la mia famiglia a Mirabella, mi piacerebbe tornarci più spesso, lo faccio appena posso, ma sono felice negli Stati Uniti. Non desidero vivere altrove».

Quindi, si sente una cittadina americana a tutti gli effetti?

«Sono una cittadina italo-americana. Amo questo paese perché mi consente il privilegio di vivere da italiana senza pericolo e sono convinta che qui, chiunque possa vivere secondo la propria cultura, senza bisogno di rinnegare le proprie radici. Dopotutto però, pur vivendo qui, io sono e mi sento italiana».

 Antonella Tauro


Print pagePDF pageEmail page
Print Friendly, PDF & Email