Libertà va cercando ch’è sì cara…

libertà

All’interno dei tradizionali problemi della filosofia e della ricerca scientifica vive da sempre il tema della libertà. Il suo richiamo è forte e il suo valore assoluto.

La libertà infatti, come la ragione e la volontà, è un’aspirazione connaturata all’essere umano, che inizialmente la identificò con la possibilità di soddisfare i suoi bisogni fondamentali: nutrirsi, procreare, coprirsi, difendersi dalle intemperie, costruirsi una casa, formare una famiglia etc.

Più tardi, inserito in organizzazioni sociali preurbane, l’uomo primitivo intese la libertà come la possibilità per il singolo di far valere le proprie aspirazioni  anche all’interno del clan di appartenenza. Ed era un modo, sia pure inconsapevole, di avvertire la propria debolezza e l’inquietante presenza del mondo circostante. Ma la mancanza di una scrittura adeguatamente strutturata gli impedirono di definire compiutamente questa grande conquista e di trasmetterla alle generazioni future: sopravvisse come reminiscenza della mitica età dell’oro; come un sogno capace di generare paca aspettativa e tanto rimpianto.

L’illusione di poter recuperare un passato luminoso e di vivere la pienezza della libertà coinvolse l’uomo nel periodo così detto assiale, quando una fase di trasformazione globale del mondo vide la contemporanea fioritura di pensatori e di saggi come Parmenide, Eraclito, Confucio, Buddha ed alcuni importanti profeti ebrei.

Quando uomini distanti tra loro migliaia di chilometri ed in condizioni ambientali e culturali differenti avvertirono contemporaneamente il bisogno di interrogarsi sulla vita, sulla morte e sul perché di tutte le cose. Ma fu solo lo spazio di un mattino!

Col passare dei secoli l’aspirazione si trasformò in problema e, nel mondo occidentale, divenne importante argomento di speculazione. Ci si domandò prima di tutto se la libertà fosse una funzione della ragione o della volontà. E se l’uomo potesse essere davvero libero, atteso il determinismo fisico o teologico nel quale era costretto a vivere. Seguirono soluzioni diverse e contraddittorie. Tuttavia un punto si impose sugli altri: la libertà cominciò ad essere considerata come il massimo titolo di nobiltà dell’uomo, in quanto  padrone dei propri atti e responsabile delle proprie azioni. Il concetto iniziale di libertà era in gran parte recuperato.

La storia del pensiero occidentale attribuisce ad Aristotele la prima definizione concettuale di libertà. Per il filosofo di Stagira, in assoluto, libero è ciò che è causa sui . Ed in ambito  antropologico, libero è colui che non ha bisogno degli altri per essere. Vale a dire il sapiente in quanto tale perché è riuscito a liberarsi dall’ignoranza: rispetto all’idea primordiale, il concetto di  libertà appare fortemente limitato. E dire che dello stesso avviso si erano dichiarati, prima di Aristotele, anche Socrate e Platone. In conclusione, per i tre grandi della filosofia greca, la libertà era intesa come la possibilità esclusiva di uno solo.

L’aspetto negativo di una tale concezione è immediatamente percepibile. Esso non è da ricercare nella soluzione dialettica del problema, che scaturisce dal rigore speculativo delle filosofia metafisica. Perché è direttamente collegato all’etica, che  governa l’aspetto pratico della ricerca.

In altri termini Aristotele non è da considerarsi superato perché parla della libertà come  causa sui, ma per il fatto di non essere disposto, sul piano etico-politico, a concedere a tutti la possibilità di praticarla. Per lui il cittadino è un animale sociale e lo schiavo è una macchina animata al servizio del cittadino. Libero è solo il filosofo, che ha la possibilità di praticare le virtù.

Ancora più rigorosa risulta la posizione di Platone, che identifica la politica con la dialettica e considera libero il solo filosofo, al quale compete il diritto di governare.  

Per l’intellettualismo socratico libero è solo colui che sa di non sapere. Colui che possiede il sapere assoluto. Mentre quelli che sanno sono prigionieri delle loro stesse conoscenze, che risultano sempre relative.   

Nella filosofia atomistica di Leocippo e Democrito la nozione di libertà conserva ancora il significato di assoluta autodeterminazione. E lo stesso si può dire per le successive filosofie ellenistiche, quando affrontano il problema dal punto di vista ontologico. Diverso si presenta il problema quando viene affrontato dal punto di vista etico. Allora la libertà si fa plurale proprio come gli atomi di Democrito e di Epicuro. La metafisica diventa filosofia della natura e l’etica prende il sopravvento sull’ontologia. Nasce una maggiore attenzione per il mondo degli uomini che, sempre più numerosi, sono in grado di fruire della libertà: alla libertà di uno solo subentra la libertà di molti.  

Ma per giungere alla libertà di tutti occorre  un cambiamento profondo. Una rivoluzione di portata trascendentale, che solo la filosofia cristiana è in grado di promuovere. Riconoscendo a tutti gli uomini il possesso di un’anima, il Cristianesimo  attiva un processo di liberazione, basato sul riconoscimento universale della dignità umana, che le filosofie precedenti non avevano considerato.

In quanto essere pensante l’uomo si è spinto fin sul limite estremo dell’universo infinito. Con Parmenide è giunto la dove una porta divide le due vie della Notte e del Giorno, separando la luce dalle tenebre. Ha percorso  la via molto celebrata, che per ogniregione guida l’uomo che sa. Ha creduto  di toccare un punto della circonferenza cosmica e di spiccare il volo verso la libertà assoluta. Ma puntualmente si è ritrovato a discutere con se stesso e con la sua interiorità. Il punto sul quale pensava di essere approdato è piuttosto il centro e non la periferia della sfera incommensurabile entro la quale lo costringe la sua condizione di uomo.

Scrive Pascal: «L’universo è una sfera infinita, il cuicentro è in ogni dove e la circonferenza in nessun luogo».

In altri termini, possiamo estendere il nostro pensiero oltre ogni limite di spazio e di tempo, alla fine ci ritroveremo sempre sperduti in un angolo della natura e l’universo  ci sembrerà un’angusta prigione. La ricerca della libertà assoluta porta inesorabilmente al pensiero dell’assoluta necessità. E la concatenazione necessaria degli eventi prefigura la dolorosa negazione di una liberazione possibile.

Una sorta di ansia claustrofobica rende schizofrenico l’uomo del nostro tempo, che si pone alla disperata ricerca di possibili evasioni. Con Schopenhauer  si  abbandona all’irrazionalità del nirvana. Per estinguere tutte le passioni e, insieme, la volontà stessa di vivere. Si professa disertore del mondo come rappresentazione  e cerca di trovare oltre il velo di Maja l’illusione di una fuga possibile.

Condivide con Nietzsche la necessità di proclamare la morte di Dio, inteso come ostacolo per il raggiungimento della libertà. Plaude al nichilismo e proclama la fine della storia. Si nasconde dietro l’escamotage del pensiero debole per banalizzare la realtà. Per esaltare il disimpegno etico-culturale e giustificare il qualunquismo delle scelte. Ma si tratta di argomentazioni mitiche, di cui la ragione è l’alternativa. Per la ragione la libertà è la possibilità di agire nel mondo e non la fuga da esso. Occorre dunque passare dal pensiero dell’assoluta libertà a quello dell’assoluta necessità. Con la consapevolezza che esiste una forza superiore, una legalità esterna e normativa, che governa l’universo e a cui l’uomo deve obbedire.

In questo universo l’uomo si riconosce solo come un frammento di materia in movimento, in balia delle leggi necessarie che governano la natura. Gli è negata ogni  forma di azione ed ogni possibilità di scelta. E’ il paradosso della libertà dal quale l’uomo esce grazie ad un processo di liberazione che solo il Cristianesimo è in grado di attuare. Infatti ciò che permette all’uomo di uscire dal circolo vizioso della necessità è la testimonianza interiore della fede, che permette al credente di riconoscersi in quanto libera volontà creata da Dio.             

Per il fatto stesso che nasce anche l’ultimo uomo morirà. Ma intanto pensa e agisce. In altri termini vive. E’ la vita, dunque, la condizione e lo spazio per esercitare la libertà.

La libertà, inoltre, è un problema individuale e non un assoluto: il problema di tutti gli uomini singolarmente presi e non di tutti gli uomini presi nell’insieme.

La liberazione dai condizionamenti e non la fuga dalla condizione.

La partecipazione dei vivi e non la pace dei cimiteri!

Edmondo Pugliese


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