Slot machine e dipendenza da gioco… sensibilizzare l’opinione pubblica

slot machine

Le storie, le esperienze e gli aneddoti che troverete in queste righe trattano un argomento molto particolare e sensibile, la dipendenza da gioco, nello specifico delle slot machine nei bar.

Comprenderete la necessità di lasciare nel più completo anonimato le persone che hanno offerto il loro contributo per la redazione di questo articolo. L’obiettivo è rendervi partecipi dei disagi, dei turbamenti, della rabbia che legano il giocatore d’azzardo alla sua slot e a chi gli sta intorno. Questo attraverso la voce di alcuni gestori dei bar di Mirabella e due testimonianze di concittadini alle prese quotidianamente con questa “malattia”.

La diffusione delle slot nei bar è un fenomeno recente. Dal 2006, il governo italiano con una serie di emendamenti ha propeso per la liberalizzazione del settore del gioco d’azzardo, contribuendo ad incanalare questa industria nella giusta (?) direzione.

Sul nostro territorio circa il 60% dei bar mette a disposizione dei suoi clienti la possibilità di giocare alle slot machine: c’è chi possiede una sola macchina, chi invece un piccolo privé, o una stanza dedicata, dotati di comodi sgabelli e persino delle ceneriere. Questo perché il giocatore non ama farsi vedere dagli altri, a meno che non siano altri giocatori. Necessita di intimità e di solitudine, perché se vince o se perde, sono fatti suoi, e basta.

Ma quanto conviene al barista tutto questo? Le percentuali di guadagno variano da slot a slot, in base al gestore che le fornisce, ma ci hanno assicurato che posso rappresentare una importante entrata mensile capace di sostenere da sola persino l’affitto del locale.

Quasi tutti i bar hanno i loro habitué, quasi tutti i bar hanno clienti che una volta esaurita la loro momentanea disponibilità economica chiedono che la slot rimanga spenta il tempo necessario per un prelievo di contanti, o ancora peggio, chiedono direttamente un prestito all’amico di slot, al compagno di briscola o al gestore del bar.

Per capire le dinamiche che sottostanno a questi comportamenti, abbiamo scambiato due chiacchiere con due nostri compaesani che, consapevoli dei loro problemi da slot, hanno voluto comunque lasciare la loro testimonianza, anonima.

Il primo dei due è un giovane disoccupato, che lavora alla giornata dopo aver avuto diverse esperienze lavorative negli scorsi anni. Vive con i suoi genitori che fortunatamente non hanno molte difficoltà economiche, non facendogli mancare quasi niente. Quando gli è stato chiesto perché giocasse alle slot, ha palesato un certo imbarazzo. Un respiro profondo e si è lasciato andare.

Gioca perché è cresciuto vedendo giocare il padre, lo vedeva vincere, rendendo la prospettiva molto attraente. Quando si trova 50 euro in tasca, vuoi per il lavoro, vuoi per la “paghetta”, difficilmente si trattiene dal correre a giocarli, la tentazione di raddoppiare o triplicare la somma giocata è molto forte. A volte va bene, si arriva a vincere 100, 200 euro. Ma sono più le volte che i soldi restano dentro. Ed è consapevole che in quei momenti diventa intrattabile, sia con gli amici, che con la fidanzata. Impreca, tira calci alle slot. Fino a quando arriva la consapevolezza di aver definitivamente perso i soldi.

Ormai è fatta, almeno fino alla prossima giocata. Ci sono dei periodi, quelli in cui lavora di più, che è più propenso al gioco, quasi come se avesse la necessità di “guadagnare” ancora, pur senza lavorare. Gli capita di uscire la mattina per un caffè al bar con 100 euro in tasca, per tornare poi con quei pochi centesimi che le slot non accettano. Ed è quella la fase più brutta, ma che puntualmente, con il successivo “verdone”, svanisce per poi ritornare.  Come un ciclo infinito, dal quale si spera possa uscire un giorno a testa alta.

Il secondo è un papà di famiglia, con due figli e un lavoro autonomo. Casa di proprietà, due stipendi. Difficoltà economiche nulle, o quasi, se non fosse per le sue abitudini. Gioca perché ritiene le ore passate davanti le slot come unico suo svago, come un modo per sfuggire alla routine quotidiana che poco lo soddisfa. Casa-lavoro lavoro-casa, tutti i giorni, tutti i mesi. Ci assicura che i soldi che scommette sono raramente quelli necessari al sostentamento della sua famiglia.

Quando le finanze si gestiscono in due è difficile far uscire dei soldi extra da giocare, e forse è proprio questo che lo contiene. E’ consapevole di essere assuefatto dalle slot, dal clima di solidarietà che si crea con gli altri giocatori quando ci si ritrova tra quelle quattro pareti.

Quando perde molto, e capita spesso con queste macchinette infernali, l’angoscia ha il sopravvento, aumenta il rimpianto di non aver usato i soldi in modo migliore, un regalo ai figli caso mai. Tra le mura domestiche bisogna essere bravi a non far capire niente, soprattutto con il proprio partner. Già è brutto fare i conti con sé stessi, figuriamoci con gli altri. Sa che in questo momento delicato per l’economia europea e italiana si dovrebbero eliminare le spese superflue, o quanto meno ridurle al minimo, ma sa anche che la voglia di giocare d’azzardo è troppo forte e non riesce a tenerla a bada.

Due testimonianze particolari, coraggiose, da parte di persone che, pur non rivelando la propria identità, hanno deciso di mettersi a nudo, raccontare i propri problemi.

Uno sfogo che difficilmente si ha il coraggio di affrontare con parenti o amici, ma che le pagine virtuali di un giornale possono rendere più leggero. Questi due racconti non vogliono rappresentare una sorta di cura da somministrare ad ogni giocatore: la ludopatia, che rientra nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi, ha una forte attinenza con la tossicodipendenza e va curata con determinate terapie. Ma sensibilizzare l’opinione pubblica sì.

Andrea De Gennaro


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