Pieraccioni torna al cinema con “un fantastico via vai”

Un fantastico via vai

Leonardo Pieraccioni è un comico quasi atipico: vive nella sua bella Firenze con la compagna Laura Torrisi e la piccola Martina, lontano dai fasti cinematografici di Roma. Torna nella città capitolina, oltre che da turista, anche per girare i suoi film. Altro che lavoro, quello dei film per lui è un hobby. Come può esserlo un giro per le vie di Roma, appunto. Questa volta, però, si è dovuto impegnare un po’ di più: la sua ultima pellicola cinematografica, undicesima della sua carriera, l’ha insignito del doppio ruolo di attore-regista, smussato dalla presenza di Paolo Genovese.

A distanza di due anni da “Finalmente la felicità”, Pieraccioni torna sui maxi schermi italiani con “Un fantastico via vai”, per raccontare la storia di un quarantacinquenne di nome Arnaldo Nardi.

«La sfida di questo film – spiega il toscano – è tentare di raccontare una storia in cui il mio personaggio ha la stessa età che ho nella vita. Lo faccio spesso: se nel ’95 con “I laureati” avevo 29 anni, questa volta sono per la strada dei 50. Questo mi sembra il film perfetto per la mia età».

Effettivamente l’età è l’elemento chiave della trama e Arnaldo, interpretato da Pieraccioni, si adatta a più di una generazione. In questo frangente, lo spirito di adattamento è d’obbligo: la moglie Anita, madre delle sue gemelline Martina e Federica, lo caccia di casa per un equivoco che le puzza di tradimento. Arnaldo sa che nulla di tutto ciò è fondato ma, senza dire una parola né tantomeno versare una lacrima, fa le valige. Addio alla bella villetta in provincia, alla vita di sempre. Resta il lavoro da bancario e l’hobby (noiosissimo a detta della moglie) di riparare giocattoli vintage. Serve una casa e il mercato offre un appartamento da dividere con quattro studenti universitari: Camilla, Edoardo, Anna e Marco.

Nuovi coinquilini, nuove storie: Camilla è siciliana. E’ scappata dalla sua terra perché è in gravidanza a insaputa dei genitori e del padre del bambino; Edoardo è un ragazzo mulatto costretto ad affrontare un futuro suocero razzista; Anna è romana e si trova lì per riprendere i contatti con il padre; Marco è uno studente di medicina. Peccato solo che abbia paura del sangue.

Nulla di proibitivo, anche Arnaldo ha il suo bel peso da portare sulle spalle e lo fa col sorriso. Lo stesso sorriso con cui affronta i ragazzi, per cui prova una profonda stima, nessuna invidia. E tenta anche di partecipare alle loro feste casalinghe, alla loro vita da studenti. Forse è un po’ goffo, talvolta imbarazzante, ma un ottimo fratello maggiore. Se fino ad ora la moglie l’ha accusato di non avere un pugno fermo nel prendere decisioni (anzi, Anita lo considera un uomo del tutto incapace di fare una scelta, benché minima), ora Arnaldo dimostra di saper ragionare pur non avendo sotto i piedi le solide basi della quotidianità familiare.

Una buona prova quella di Pieraccioni, nonostante la baraonda di film usciti nello stesso periodo e la critica sempre pesante. Che importa se non si ride per tutta la durata del film? Il pubblico apprezza la scelta di una commedia leggera dal tono fiabesco, forse un po’ scontata ma mai volgare. Apprezza soprattutto la prova dei quattro ragazzi fulcro della storia.

Lo stesso Pieraccioni ha ammesso la loro bravura, in grado di compensare alla passiva presenza di elementi quali Massimo Ceccherini e Giorgio Panariello. I due, infatti, interpretano ruoli secondari: il primo è il padre di Anna, il secondo è il suocero razzista di Edoardo. Lo stesso si potrebbe dire del duo comico Maurizio Battista e Marco Marzocca, nel film i colleghi Esposito-Giovannelli, gli amici di Arnaldo che s’improvvisano investigatori alla ricerca della presunta amante.

E poi? Ah, poi c’è il lieto fine…

Irene De Dominicis


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