Storia e futuro: un percorso per riannodare la speranza

papa francesco

La difficoltà di stabilire un sicuro rapporto tra presente e passato incombe  minacciosa sulla storiografia occidentale contemporanea. Allo storico del ventunesimo secolo riesce difficile promuovere il trapasso del tempo storico nell’ordine e nella organizzazione esistenziale del conoscere e dell’agire. In larga parte sorretto da una cultura positivistica e da una visione materialistica della vita si fa sostenitore di una concezione retorica e moralistica della storia, che non stupisce e non appassiona. E’ il segno di un abbassamento di vitalità, che congela il presente e acuisce il rimpianto per il passato.

Questa sensazione coinvolge anche l’uomo della strada che comincia a valutare con leggerezza i tanti segnali inquietanti, che gli arrivano da ogni parte del mondo. Per lui si tratta di fatti di ordinaria follia. La coscienza del relativo lo induce a minimizzare, a rimuovere, a respingere, a sorvolare; mentre la certezza della superiorità militare della civiltà di appartenenza lo rende tranquillo in ordine al risultato di un eventuale terzo conflitto mondiale. Ma è solo l’effimera fenomenologia di un mito che ritorna.

Prigioniero di una cultura che proclama la morte di Dio, così nell’arte come nella scienza, l’uomo del ventunesimo secolo si lascia vincere dalla “nostalgia”.  E come le antiche generazioni considerarono perduta la mitica età dell’oro così egli considera definitivamente perduto il “paradiso terrestre”.

Inevitabile allora il ricorso alla filosofia, che fin dalle sue origini socratiche si presenta come sapere maieutico capace di far partorire conoscenze precise e talvolta affascinanti e definitive. Ma il percorso filosofico si pone come una specie di cura omeopatica che non conduce al discernimento della verità. Un velo di Maya, dispiegato lungo la linea dell’orizzonte speculativo, preclude il raggiungimento della meta che non è a portata di mano, ma rappresenta piuttosto la domenica della vita; il momento in cui dopo le fatiche dei giorni feriali, lo spirito ripiega su se stesso e fa il punto sul viaggio dell’esistenza e della storia. A questo punto l’adesione al pensiero unico, che annebbia la vista ed impedisce la pluralità della scelte, diventa inevitabile!

Si continua a vedere nella storia della filosofia una sorta di concezione tragica dell’esistenza, giacché a progredire nel tempo è soltanto l’idea della libertà e non la  libertà effettiva ed individuale di tutti.

Prende forza il mito creato da Platone, forse il più celebre nella storia della filosofia, in cui si immagina una caverna con degli uomini che vedono sulla parete della ombre e le scambiano per cose reali. Quando però qualcuno decide di uscire dalla caverna e di salire all’aria aperta, resta accecato dalla luce del sole e non vede assolutamente nulla. Allora si dispera tanto da rimpiangere la caverna dove almeno riusciva a scorgere qualcosa. E’ questo il momento per lui più difficile perché rischia, tornando indietro, di doversi accontentare delle rassicuranti illusioni degli altri.

Prigioniero delle apparenze insegue l’uccello di Minerva, che inizia il suo volo in sul far della sera, quando il lavoro del giorno è terminato.

Nel buio della notte gli riesce facile generare il senso illusorio della profondità nella comprensione e nella taratura dello spessore dei concetti, evitando che vengano usati in maniera completamente decontestualizzata e atemporale. Si convince che il percorso filosofico non offusca la dimensione teorica, ma ne costituisce il campo di visibile profondità e intelligibilità, aiutando in ogni epoca chi si propone di pensare in maniera non superficiale a entrare in simbiosi con le filosofia di un passato non esaurito, che continua a sprigionare scintille di luce. Ma tutto si dissolve con l’avvento delle prime luci dell’alba.

Si tratterà allora di riprendere il filo di un percorso, che muove da  lontano. Almeno da quando la rivelazione cristiana fu assunta come orientamento per il cammino futuro dell’umanità. Per impegnarsi a considerare la fede e la ragione come  proprietà native del pensiero umano. Per dedurre lo sviluppo di una fondamentale divina armonia tra conoscenza scientifica e conoscenza di fede. Per chiamarsi fuori dall’eurocentrismo, che avalla, senza fondamento, la presunta superiorità della cultura occidentale.

Da oltre duemila anni l’incarnazione di Cristo mette in luce l’opera della creazione e della salvezza per l’uomo, che avanza tra i condizionamenti dell’immanentismo e del materialismo tecnocratico. Una dottrina che non può essere racchiusa in un ambito territoriale ristretto, perché si rivolge a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, a prescindere dalla latitudine e dalla condizione in cui vivono e lavorano.

Lo storico del terzo millennio deve, dunque, rivedere il suo concetto di passato. Deve, finalmente, ammettere che la ricerca storica, pur se condotta scientificamente, non perviene mai a certezze assolute. Perché il sapere storico, come ogni altro sapere, è interno al pensiero ed il pensiero è continuo sviluppo e superamento.

La nuova sfida storiografica non deve riguardare soltanto i fatti, ma anche le ipotesi che nei fatti sono incorporate. Poiché è un assurdo logico e metodologico continuare a credere nell’esistenza oggettiva di un evento, indipendentemente dallo storico che lo ricostruisce: gli eventi parlano solo quando lo storico li fa parlare. Risultano pertanto superati coloro che ancora si attardano ad adottare il punto di vista del positivismo; quando con lo sviluppo delle scienze esatte si affermava la sensazione che fosse possibile attingere ad una conoscenza scrupolosamente vera del passato.

In sintesi, l’uomo del terzo millennio, che vuole riannodare la speranza, deve privilegiare la sola filosofia che in sede metafisica sostiene la provenienza divina della fede e della ragione, ed in sede storica promuove un costruttivo rapporto con tutte le civiltà del pianeta.

Accettare senza riserve il messaggio di papa Francesco consapevole di trovarsi di fronte ad un uomo cosmico storico inviato dall’astuzia della Ragione per frenare la corsa verso la dissoluzione dei valori umani e religiosi.

Un uomo  capace di scuotere dalle fondamenta più profonde la gerarchia e la dottrina cattolica. Che nella semplicità del linguaggio stempera l’arroganza degli scienziati e dei politici che pretendono di elaborare principi etici senza il soccorso della teologia. Che pretendono di occuparsi dell’uomo trascurandone l’umanità.

Edmondo Pugliese


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