Benedetto Festa, cavaliere del lavoro e di umiltà

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La storia che mi accingo a narrare appartiene ad un altro tempo, ad un mondo ormai scomparso di difficile comprensione rispetto ai canoni con i quali valutiamo le difficoltà e le “restrizioni” dei nostri giorni, una storia di umiltà e dedizione che racconta la semplice esistenza di Benedetto Festa, barbiere professionista, che, con la sua infaticabile tenacia, è riuscito a costruire una vita di onestà e semplicità,  divenendo un simbolo per la nostra intera comunità.

Nacque a Mirabella il 3 settembre del 1929, figlio di Modestino, maestro muratore, e Rosaria Vitale, secondo di sei figli. Dopo aver frequentato il primo ciclo elementare cominciò l’apprendistato presso il barbiere Salvatore Santosuosso. Nonostante le sue ottime attitudini scolastiche e l’invito dell’insegnante Diletta Penta a continuare gli studi, le ristrettezze economiche dell’epoca impedirono alla famiglia di fargli continuare gli studi, per i quali erano previsti i pagamenti per l’iscrizione e i libri. Dopo cinque anni di apprendistato, il suo maestro lo spinse a recarsi in contrada Pescole, dove tagliava la barba ad una quindicina di persone del luogo, da mattina al tardo pomeriggio, rimanendo da questi per il pranzo. Il suo maestro riceveva in cambio un “mezzetto” di grano al giorno da ognuna famiglia ed ogni fine settimana faceva un regalo al suo allievo.

Aprì il suo primo  salone di barbiere all’età di 22 anni, nel 1951, dove lavorò fino al 1953. In quell’anno, su proposta di un collega ed amico, emigrò in provincia di Bergamo, precisamente ad Urniano, dove lavorò in società col suo amico. Dopo circa 2 anni, per l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre Modestino, ritornò nel suo paese di origine, dove si stabilì, inaugurando il proprio locale  sul corso Umberto I.

A seguito del terremoto del ’80, a causa del crollo dello stabile che ospitava la sua attività, fu costretto a spostarla nel locale adiacente alla sua abitazione in via della Rinascita, dove ha continuato ininterrottamente a lavorare sino ad una settimana precedente la sua scomparsa .Durante la sua carriera ha avuto diversi “discepoli”, uno dei quali è tuttora parrucchiere a Boston (USA).

Nel 2010, in virtù della sua pluridecennale attività e degli esemplari sacrifici che contribuirono risollevare la propria famiglia dalla miseria del dopoguerra, ricevette l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. La cerimonia di consegna del diploma e della medaglia fu tenuta nel palazzo della prefettura di Avellino ed officiata dall’allora prefetto Ennio Blasco, alla presenza dei sindaci di vari comuni della provincia.

Il 21 aprile scorso il vento subitaneo di un’incerta primavera ha spento l’eterea fiamma che ardeva nel sincero sguardo del Cavaliere Benedetto Festa, relegando la sua vita e la sua esperienza umana nel diario delicato dei ricordi, lasciando ai suoi cari e a tutte le persone che hanno la fortuna di conoscerlo il compito di preservare dall’ingiuria della dimenticanza la sua vicenda umana e personale.

Ho sempre pensato che la vita sia scritta con le parole semplici che determinano la straordinaria vicenda dei giorni, che la vera eccezionalità sia celata nel perseguimento dei valori fondamentali dell’esistere senza spettacolarizzazioni né eccessi, l’esemplare vita di un semplice artigiano come Benedetto Festa ci ricorda che  il vero valore di un’eredità sta nella testimonianza che lascia ai posteri, nell’insegnamento celato dietro una vita spesa seguendo i più autentici dettami del rispetto verso la famiglia e verso la comunità.

Troppo spesso si confonde il semplice con il banale, non riuscendo a cogliere la profonda differenza semantica dei due termini; mentre la banalità pervade la maggior parte delle nostre esperienze umane e professionali, la semplicità, nella sua estrema chiarezza, rappresenta il miracolo che raramente si scorge nei gesti quotidiani di un uomo che ha intrapreso la strada della verità, la semplicità è una luce soffusa ma costante e ci racconta la vita per come dovrebbe essere, lontana dai riflettori e dalle falsità.

Siamo abituati per cultura e forma mentis ad esaltare l’eccesso quando dovremmo avere la sensibilità di comprendere che l’orgoglio di questo Paese risiede nella forza  e nel coraggio della quotidianità, nel rapporto leale tra le persone, nel racconto di una storia che si tramuta in un simbolo e in un esempio per tutti noi.

Pochi giorni fa sono passato davanti alla saracinesca del suo salone con la consapevolezza di non poterla rivedere aperta mentre un vento leggero continuava a raccontarmi l’inevitabile caducità di tutte le nostre esperienze e del nostro vivere fugace.

Saranno passati trent’anni da quando mio padre mi accompagnò lì ed io entrai per la prima volta in quel salone, trent’anni che son scivolati via come l’acqua che si incanala ai bordi delle strade nelle sere piovose d’autunno, trent’anni che mi hanno raccontato l’inevitabile decadenza al quale ci condanna lo scorrere invisibile del tempo e la magia con la quale riusciamo a preservare attimi  che sembrano insignificanti ma che lanciano uno spiraglio di luce e speranza sul futuro.

Riesco ancora a percepire l’emozione di sentirmi un ometto perché andavo finalmente dal barbiere, ricordo ancora le sue parole calme mentre mi raccontava di persone e luoghi lontani con una tale minuzia di dettagli da rendermeli riconoscibili, ricordo il suo sguardo sincero e la delicata maestria con la quale eseguiva il suo lavoro di ogni giorno.

Dinnanzi al vuoto del suo locale chiuso, mi piace pensare che abbia aperto un’altra saracinesca in un luogo e in un tempo che sfugge all’umana comprensione e che il suo salone sia affollato dai tanti amici che ha dovuto salutare lungo il cammino.

Io gli dedico la fragilità di queste parole insieme al dolce ricordo che rivedo scintillare negli occhi dei suoi familiari con la ferma convinzione  che la tenacia e l’orgoglio, con il quale ha perseguito il suo semplice ideale di vita,  resti un esempio di onestà e dignità per noi che non possiamo ammirare il suo nuovo salone illuminato dalla luce del sempre.

Massimo Lo Pilato


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