Primo maggio amaro: «diritti calpestati!»

Foto 1° maggio

Un giorno da festeggiare ma anche una ricorrenza per far riflettere quanti sono costretti ad alzarsi la mattina sperando di poter portare a casa un pasto. E’ a loro, soprattutto, all’esercito irpino di disoccupati, di uomini e donne in cassa integrazione, in mobilità che va il pensiero più grande, l’abbraccio più stretto con l’auspicio che il primo maggio possa essere davvero la festa di tutti. Affinché questo giorno possa essere ricordato e celebrato con le bandiere issate che inneggiano ai diritti per tutti, nessuno escluso; affinché sia il giorno non dell’angoscia per molti che nulla hanno da festeggiare ma sia il giorno del sorriso, dell’abbraccio, della voglia di vivere e non sopravvivere.

Lacrime amare che fanno male a chi ascolta quei lavoratori, quegli impiegati, quel falegname, quella guardia giurata, quell’imprenditore edile; ma anche quei giornalisti che hanno speso studi, fatica, sacrifici e oggi si trovano con un pugno di mosche in mano; per i tanti giovani all’esterno in cerca di fortuna che un giorno vorrebbero ritornare nella loro amata Patria che non è riuscita a trattenere, suo malgrado, i figli che ha partorito; l’abbraccio a quanti hanno perso il lavoro e avvertono dentro il vuoto che logora il cuore, la mente, l’anima; che annienta la speranza; che annichilisce le forze.

E’ a loro – al 58% di giovani irpini in mezzo ad una strada; al 18% di disoccupati; alle oltre 300 imprese edili e alle oltre 100 fabbriche che hanno chiuso i cancelli – che va l’abbraccio della Comunità sana dell’Irpinia (… … …).

Un primo maggio troppo amaro per tante e troppe vertenze non risolte, per troppe famiglie oneste con figli a carico a cui bisogna necessariamente dare risposte; per chi non ha una casa; per i senza tetto che trovano riparo su panchine o in luoghi di fortuna; per la gente bisognosa in genere a cui la politica è chiamata a dare necessariamente risposte perché raccogliere la testimonianza di un ex operaio, di un ex umpiegato e di un ex lavoratore in genere, non è così semplice.

Vedere un uomo sfogarsi e avere in braccio il suo bambino e non poter dare le risposte stringe il cuore.

«Cosa devo festeggiare? Nulla! Mia moglie non lavora. Io sono in mobilità con un mutuo sulle spalle da pagare. Ho un’altra figlia di 10 anni. Ditemi voi come faccio ad andare avanti, perché i miei figli non possono avere le cose essenziali che gli altri hanno? Eppure ho lavorato una vita. Mio padre – anche lui operaio – mi ha inculcato sin da piccolo l’amore per l’azienda presso la quale lavorava. Ed io così ho fatto. Così ho sentito mia la fabbrica che oggi non dà più garanzie lavorative. Fino all’anno scorso la “mia” azienda era in buona salute e ho pensato di spingermi oltre per dare una casa ai miei figli. Oggi miritrovo con un mutuo sulle spalle; come faccio a dare da mangiare ai miei figli? E’ questo il mio dramma. Non penso a me ma a loro. Non riesco più a dormire la notte. Non esco più di casa perché non sono abituato a stare per strada ma a lavorare. Spero che la situazione possa sbloccarsi per tanti come me che oggi non hanno più un lavoro e spero che questo avvenga presto perché mi sento privato della mia dignità di uomo e di padre».

E’ questo il sentimento che accomuna quanti – uomini e donne – non hanno più la forza di rialzarsi ma combattono perché così deve essere: mai arrendersi alle difficoltà della vita; mai soccombere ma sempre rialzarsi perché un giorno ognuno potrà raccontare il dramma vissuto; perché un giorno i propri figli potranno raccontare di aver visto quel padre dignitoso e amabile sbracciarsi, far sacrifici, piangere per loro.

Quel padre e quella madre dignitosi anche senza lavoro che urlano con civiltà la propria rabbia e che sono e saranno orgoglio per i propri figli sempre e comunque. Affinché tanti padri, le tante madri, i tanti giovani che oggi vivono il dramma di una privazione possano ritrovare il sole dentro. Ad maiora!

Teresa Lombardo


Print pagePDF pageEmail page
Print Friendly, PDF & Email