“L’ora di luce”: la fotografia tra le mura del carcere di Ariano Irpino

Fotografia
Ritorna l’appuntamento con la rubrica di fotografia e provo a raccontare qualcosa che mi ha coinvolto, in prima persona, del progetto “l’ora di luce”: un corso di fotografia, destinato ai detenuti della Casa Circondariale di Ariano Irpino, reso possibile grazie ai quattro fotografi volontari: Simona Spinazzola, Luca Lombardi, Federico Iadarola e Annibale Sepe ma anche grazie alla collaborazione e disponibilità del Direttore della struttura carceraria Gianfranco Marcello.

Per mesi siamo entrati ed usciti, non con poche difficoltà, dalle mura carcerarie con l’unico intento di portare la fotografia proprio lì dove difficilmente poteva arrivare; alla fine tutti i sacrifici sono stati ripagati e si è rivelata l’esperienza fotografica più bella della mia vita.
Ho capito quanto sia potente la fotografia, ho potuto tastarla: riesce ad aprire accessi impossibili, oltrepassare mura insormontabili e non mi riferisco a quelli fisici, ma a quelli dei preconcetti. Ho visto come la fotografia sia vera, reale, portatrice di emozioni, mezzo di comunicazione dalle potenzialità (oggi) troppo sottovalutate.
Sia chiaro che non è mia intenzione giudicare i detenuti, santificarli o crocifiggerli, se sono lì dentro ci sarà un motivo e coscientemente ne stanno pagando le conseguenze.
L’aspetto bello che voglio sottolineare è stato vedere come i detenuti alla fine del corso avessero recepito il concetto, come loro stessi volevano comunicare quello che tenevano dentro e forse ci sono riusciti meglio che con una penna o con semplici parole.
Alla fine del corso (che probabilmente verrà riproposto agli inizi del prossimo anno) ognuno di loro ha tirato fuori un’immagine di sé accompagnata da un significato profondo. Con la fotografia sono riusciti ad immaginare, a creare, a raccontare e, perché no, forse anche un po’ ad evadere fuori da quelle mura.
La fotografia è, dunque, uno strumento sociale, cioè a servizio della società. Non l’ho scoperto certamente io, ma noto che troppo spesso se ne dimentica.

Annibale Sepe


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