Un illustre cittadino eclanese da ricordare: Francesco Antonio De Bellis

Francesco De BellisUnico maschio, terzogenito tra nove figli, Francesco Antonio De Bellis nacque nel 1885 a Mirabella Eclano, dai genitori Pasquale e Errichetta Bianchi, i quali lo educarono sin dalla più tenera età al rispetto degli altri e delle regole, inculcandogli uno spiccato senso del dovere.
Il 5 giugno 1922 sposò Olga Caccese, di diciassette anni più giovane di lui, originaria di Montecalvo Irpino. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Pasquale, Giovanni, Enrico ed Alba, nei confronti dei quali i genitori furono molto esigenti sia per quanto riguarda la disciplina che il rendimento scolastico. In caso di mancanze non esitavano, infatti, a rimproverarli e a punirli, anche con molta severità, tanto che la vita di collegio appariva loro meno dura di quella familiare. Circa la severità del padre, il figlio Pasquale ha raccontato che, quando frequentava il V° ginnasio, mentre sedeva nel banco, involontariamente lasciò scoperta di pochi centimetri la parte delle gambe al di sopra dei calzini. Per questa mancanza ricevette, quali punizioni, l’espulsione per due giorni e la sospensione per un mese dell’uscita settimanale.
Ad ogni modo ciò che maggiormente lo ferì fu la reazione del padre che, subito convocato, non permettendogli neppure di giustificarsi, gli diede due sonori ceffoni. I figli frequentarono il liceo nel reputato Collegio Nazionale di Avellino e poi l’Università degli studi di Napoli.
Nell’esercizio delle funzioni di Commissario prefettizio, che esercitò tra il 1929 e il 1930, dimostrò equilibrio e fermezza, non lasciandosi mai coinvolgere nelle lotte politiche locali. Per questo ed anche per la sua irreprensibile condotta morale e politica e per la buona posizione economica, pur non essendo iscritto al Partito Nazionale Fascista, il suo nome venne segnalato dal Prefetto di Avellino al Ministero dell’Interno per la carica di podestà, che ottenne e ricoprì dal 1930 al 1935 e per alcuni mesi del 1937.
Nella vita pubblica adempì la sua missione con equità, umanità, fortezza, senza avidità di guadagni, qualità non frequentemente riscontrabili negli amministratori della nostra Provincia che continuavano, come nei primi anni del regime, a commettere illeciti ed anteporre al rispetto delle regole amministrative e, quindi, agli interessi della collettività, gli interessi personali.
Intransigente si dimostrò anche verso il suo colono Domenico Tammaro, detto “Mineco Terretorio”, che, per essersi presentato nel suo ufficio in maniche di camicia, fu rispedito a casa ad indossare abiti più decorosi. Non meno rigoroso fu anche con sua sorella Livia alla quale fece notificare una multa, poi da lui stesso pagata, per non aver rispettato la circolare podestarile che vietava di stendere il bucato sui balconi prospicienti le strade del centro antico.
Numerose furono le iniziative da lui prese per la soluzione di problemi che rendevano molto dura la vita dei suoi concittadini.
Anche in ottemperanza alle direttive del governo centrale, durante il suo primo mandato podestarile, fece realizzare diverse opere pubbliche: la costruzione del campanile della Chiesa di San Francesco, danneggiato dal terremoto del 1930; la riparazione e la trasformazione della linea elettrica; la costruzione del campo sportivo in contrada Pomice con l’impiego di manodopera locale, tra cui molti disoccupati; l’adesione da parte dell’Amministrazione comunale della costituzione del Consorzio Idrico Interprovinciale Irpino per eliminare i disagi derivanti alla popolazione dalla mancanza d’acqua per vari mesi dell’anno; l’istituzione nella contrada di San Pietro, in via Chiocche del Forno e nelle frazioni di Pianopantano e Passo Eclano di scuole elementari di grado superiore (quarta e quinta classe); la costruzione della piazzetta antistante la Chiesa di San Francesco.
La pavimentazione di quest’ultima fu affidata allo scalpellino Pietro Vozzella che ricevette, come compenso, cinque lire al giorno. Questi, avendo effettuato qualche tempo prima dei lavori nella casa del podestà ed avendo ricevuto sette lire al giorno, meravigliato per l’inaspettata diminuzione del compenso, chiese giustamente spiegazioni e il De Bellis rispose che è dovere del buon amministratore gestire il denaro pubblico nel miglior modo possibile, mentre dei propri soldi ciascuno può disporre come vuole.
Durante la sua Amministrazione fece anche progettare dall’ingegnere Salvatore Palma il monumento in pietra e bronzo dedicato ai 55 caduti di Mirabella Eclano nella Prima Guerra Mondiale.
Infaticabile ed intraprendente, esaltava il lavoro perché riteneva che consentisse all’uomo di realizzarsi e, proprio per questo motivo, fece apporre all’ingresso della sua casa la seguente frase “Io rispetto i calli delle mani, sono segno di nobiltà”.
Nell’ottobre del 1934 la sua collaborazione con il dottor Carmine Gambacorta, segretario del Fascio, che aveva contribuito in maniera determinante a ridimensionare le lotte politiche condotte contro le autorità locali dalla fazione facente capo all’ex podestà, l’avvocato Morella, cominciò ad incrinarsi e tra i due nacque un dissenso tale da indurre il Prefetto a non riproporre la candidatura del De Bellis alla fine del suo primo mandato.
La seconda esperienza di podestà del De Bellis ebbe breve durata in quanto gli venne revocato l’incarico per aver infranto l’art.25 della legge 15 giugno 1936/XV: aveva regalato a due coniugi bisognosi due quintali di grano, conservati nella villa di Passo Eclano, che invece avrebbero dovuto essere destinati all’ammasso.
Nella fase successiva della sua vita Francesco Antonio De Bellis, pur non ricoprendo cariche pubbliche, continuò a rappresentare un valido punto di riferimento per molti dei suoi concittadini.
Francesco Antonio De Bellis morì nella sua città natia, Mirabella Eclano, il 17 ottobre del 1968.

Fabiola Genua


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