Comunicare in Europa: a che punto siamo?

Foto Cultura Comunicare in Europa
E’ innegabile e sotto l’occhio di noi tutti (numerosi sondaggi lo dimostrano) il fatto che l’Europa stia attraversando un momento di crisi e di perdita di fiducia da parte dei propri cittadini, il che va a ripercuotersi negativamente anche e soprattutto sul processo costituzionale dell’Unione Europea (UE).

Tra le cause principali di questa sfiducia va sicuramente annoverata la mancanza di informazione da parte dei cittadini di cosa effettivamente sia l’Unione Europea, unita ad una assoluta mancanza di consapevolezza del proprio essere cittadini europei, con pieno diritto di incidere nella vita dell’Unione stessa. L’Unione è infatti avvertita come un’entità astratta e lontana, che mira sostanzialmente a complicare la vita dei cittadini e del governo nazionale.
La mancanza di una comunicazione chiara ed efficace, unita ad una scarsa conoscenza della terminologia specifica, ha infatti generato nella società europea un disincanto e un sentimento di non appartenenza. La popolazione europea non si sente coinvolta a sufficienza dalle istituzioni e sovente rimane alienata dai meccanismi decisionali che operano a Bruxelles.
Troppo spesso dimentichiamo che oltre che cittadini italiani siamo anche cittadini europei e che quello che viene deciso all’Europarlamento di Strasburgo e Bruxelles piomba sulle nostre teste e nella nostra quotidianità tutti i giorni, senza che noi ne siamo neanche consapevoli perché le leggi europee di frequente diventano, quasi automaticamente, leggi nazionali.
Una parte di responsabilità va attribuita certamente anche all’Unione, che ha difficoltà a comunicare quello che fa. L’immagine che il cittadino medio ha infatti dell’UE è qualcosa di superfluo, di burocratico, di lontano, che vive a Bruxelles, di cui non si sa bene cosa fa e perché lo fa. Ma la colpa è anche di noi stessi in quanto cittadini tanto italiani quanto europei: tutti noi sappiamo come funziona il nostro paese, i meccanismi istituzionali, ma spesso sappiamo poco di come decide l’UE, qual è il suo processo legislativo, chi fa le leggi, che fa la commissione. E questo di certo non è un bene, dovrebbe essere un nostro dovere saperlo. C’è pertanto una sorta di corresponsabilità anche dei cittadini europei perché gli strumenti per informarsi ci sono. Dunque un po’ la colpa è dell’Europa che fa fatica, in parte è dei cittadini che non si informano.
Non ultimo in ordine di importanza è il ruolo fondamentale ricoperto dai giornalisti in questo delicato processo di diffusione delle informazioni e della terminologia, nel senso di semplificare e avvicinare al linguaggio della gente le strutture piuttosto rigide della terminologia specifica. Prima dell’avvento di Internet c’era una divisione nelle pagine dei giornali di tutto il mondo tra politica esterna e internazionale, politica interna ed economia. Invece oggi quei vecchi steccati, che sono durati per decenni, non esistono più. Attualmente è difficile parlare di politica interna italiana senza parlare di Europa, è difficile parlare di economia senza parlare di politica esterna o di politica, ragion per cui diviene fondamentale avvalersi di giornalisti e di professionisti che conoscano a fondo la materia, cosa che oggi diventa sempre più difficile a causa delle scarse risorse di un’editoria sempre più in crisi.
Riguardo al ruolo giocato dai media nella costruzione della comunicazione istituzionale europea, bisogna constatare che questo è affetto da un particolare, quanto piuttosto singolare, paradosso: da un lato, l’Unione Europea ha prodotto effettivamente un’enorme quantità di informazione (“overload informativo”), atta a fornire a tutti i Paesi membri quanto potesse essere utile nel processo di integrazione sociale, politico ed economico; dall’altro, in un senso contrario, sono tuttavia venute a mancare strategie di comunicazione e di adeguata promozione e sostegno dei valori che giustificavano e davano senso alle scelte compiute dalle stesse istituzioni europee.
Si è, dunque, creato un vero e proprio “deficit di comunicazione” per il quale i cittadini spesso non sanno bene cosa sia l’Unione, non la capiscono e non sono in grado di incidere anche perché non conoscono i meccanismi e la stessa terminologia che consentirebbero loro di farlo. A questo si accompagna un “deficit democratico dell’Unione”: i cittadini hanno scarsa capacità di incidere nella vita dell’UE, a causa della complessità del suo funzionamento, e dunque il sistema finisce con l’apparire poco legittimo.
Questi due deficit coesistono, sfociando in un più generale “deficit di identità europea”, costituito da barriere culturali e linguistiche oltre che da elementi geopolitici.
Per di più la mancanza di un accordo sul contenuto di una politica di comunicazione riflette una generale assenza di principi comuni per orientare le strategie.
E quindi se alla poca chiarezza rappresentativa associamo un buio comunicativo, avremo come risultato un’organizzazione molto distante dai cittadini europei, circostanza paradossale se parliamo dell’Unione Europea, che, lo ricordiamo, dal 1992 con il “trattato di Maastricht” si è preoccupata sempre di più di avvicinare i cittadini europei alle istituzioni di Bruxelles e di fare della trasparenza un cavallo di battaglia.
Il trattato di Maastricht implica un’apertura dell’UE verso l’opinione pubblica europea, che inizia ad essere più cosciente ed informata a proposito delle attività che si svolgono a Bruxelles ed incomincia a valutare le politiche europee in termini di potenziali costi o benefici per loro e per i propri territori di appartenenza locale, regionale.
L’obiettivo fondamentale diviene, dunque, quello di creare una nuova “politica di comunicazione europea” fondata sull’informazione al cittadino costante, corretta, capillare e accessibile in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Unione, per la creazione di una coscienza collettiva europea.
Non bisogna tralasciare il fatto che gli anni Novanta hanno rappresentato il momento di massima crescita delle tecnologie connesse al mondo dell’informazione e della comunicazione: il paradigma della rete ha visto diffondersi impetuosamente il fenomeno del world wide web, con la prospettiva, oggi assolutamente realizzata, di rivoluzionare le modalità di relazione tra individui, gruppi sociali e istituzioni.
L’Unione Europea da questo punto di vista non si è fatta cogliere impreparata, intuendo rapidamente come le nuove tecnologie avrebbero potuto facilitare il lavoro di integrazione, tramite una maggior facilità di diffusione dei documenti multilingua.
La comunicazione come risorsa necessaria e multifunzionale su cui l’Unione Europea ha ancora molto da investire e soltanto da guadagnare: questo il tema di fondo affrontato, il 7 novembre scorso, nel convegno “Il linguaggio della crescita: dai documenti UE alle opportunità”, primo appuntamento del ciclo d’incontri di studio “Comunicare in Europa” promosso dal Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione dell’Università degli Studi di Salerno.
L’iniziativa, fortemente voluta dalla prof.ssa Daniela Vellutino, docente di “Comunicazione pubblica e linguaggi istituzionali” presso il corso di Laurea Magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, ha l’obiettivo di intavolare un confronto scientifico su come far conoscere e divulgare la terminologia dei documenti istituzionali dell’Unione Europea in modo da rendere maggiormente accessibili le opportunità concesse dai fondi europei, in particolare quelli del ciclo di programmazione 2014-20 che, forse, è l’ultimo che mette a disposizione più fondi per le regioni dell’obiettivo “convergenza” (termine, appunto, specialistico per indicare le regioni del Sud Italia).
La questione di fondo che ha soggiaciuto agli interventi dei diversi relatori è riscontrabile nella ormai improrogabile necessità di una comunicazione chiara ed efficace che fornisca informazioni corrette, non propagandistiche, che metta in risalto il progresso compiuto dal nostro continente negli anni, che faccia conoscere il funzionamento dell’Unione e la trasformi dalla entità che si occupa di complicare le nostre vite o dallo “zio Paperone” che serve per avere i soldi per i progetti più disparati (a volte assolutamente insensati) in un’entità amica, conosciuta, vicina, con la quale si sappia come interloquire, della quale si padroneggi la terminologia specifica, di cui si conoscano quali politiche stia perseguendo, quali obiettivi abbia e si sappia come, eventualmente, discuterli: affermare il paradigma di una partecipazione democratica, attiva e informata dei cittadini può aiutare a far sì che l’UE diventi un’organizzazione meglio compresa e sicuramente più sostenuta.
La prima tranche del convegno, a carattere teorico-introduttivo, coordinata da Maria Teresa Zanola (Presidente Ass. I.Term e Realiter, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) ha affrontato la questione di “Come nascono e sono gestiti i termini istituzionali” e ha visto gli interventi di Rodolfo Maslias (capo dell’Unità di Terminologia del Parlamento Europeo), Italo Rubino (capo Dipartimento della DG Traduzione Lingua Italiana della Commissione Europea e presidente della Rete di Eccellenza dell’Italiano Istituzionale), e Mara Giua (Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Governo Italiano, team “opencoesione”).
La seconda tranche, “Come comunicare le opportunità della strategia Europa 2020″, relativa agli strumenti operativi per concretizzare la trasparenza terminologica e l’avvicinamento al cittadino, coordinata da Marco Esposito (giornalista de “Il Mattino” ed economista), ha visto protagonisti Licia Corbolante (terminologa, curatrice del blog terminologiaetc.it), Maria Pia Montoro (web content manager per “Intrasoft International Lussemburgo”), Mirko Pallera (cofounder di “Ninja Marketing”) e Marco Esposito, giornalista, vicesegretario del “Sindacato Giornalisti Campania”).
Riuscitissima la sperimentazione “social” legata all’evento, per la quale noi partecipanti siamo stati chiamati a condividere idee, riflessioni e contenuti in tempo reale riguardo a @comunicareuropa sui principali Social Network (Twitter e Facebook) utilizzando l’hashtag “#uece14”.

Fabiola Genua


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