L’Abate “liberale” Giuseppe Saverio Cappuccio

Foto Cultura Personaggio Storico
Discendente da una delle più antiche ed agiate famiglie del paese, Giuseppe Saverio Cappuccio nasce a Mirabella Eclano il 18 marzo 1776 dai coniugi Michele ed Angela Minichiello. La sua figura è legata soprattutto alle attività cospirative patriottiche che si ebbero in Irpinia tra il 1820 e il 1821.

Studiò nel seminario benedettino di Padula, nella provincia di Salerno, vestendo l’abito talare a soli 24 anni. Gli studi, pur tenendolo lontano dai tragici eventi che si verificarono nel Regno di Napoli alla fine del ‘700, non condizionarono più di tanto il suo spirito e le sue idee liberali, maturate soprattutto dopo la Rivoluzione del 1799, che aveva visto protagonista, tra gli altri, il mirabellano Stefano Maria Cappuccio, sacerdote e medico.
Giuseppe Saverio, tornato a Mirabella nel 1802, entrò nel collegio canonicale con il ruolo di predicatore rivelando straordinarie doti oratorie e, proprio a causa delle sue idee liberali, non era ben visto tra i reazionari e i notabili locali. Molti tra i giovani mirabellani furono attratti dalle sue inedite idee di libertà e uguaglianza, apertamente ispirate a quelle provenienti della Francia rivoluzionaria.
In paese le sue idee non erano viste di buon occhio, soprattutto tra i sanfedisti, capeggiati da Giuseppe Penta, che vedevano in lui uno dei principali cospiratori, anche se c’è da dire che la famiglia Cappuccio era invisa al Penta più per fatti personali, accaduti durante la rivoluzione del ’99, che per motivi prettamente politici.
Tra i due, infatti, vi erano spesso litigi e ciò determinò il 24 febbraio 1803 l’assalto da parte del Penta, a capo di una piccola folla, alla casa dei Cappuccio chiedendo l’allontanamento dal paese del canonico Giuseppe Saverio. La manifestazione ebbe un tragico epilogo poiché nel tumulto che seguì rimasero uccisi alcuni uomini, tra cui lo stesso Giuseppe Penta.
Una seconda brutale manifestazione si verificò il 26 febbraio, questa volta senza alcun tipo di resistenza da parte dei Cappuccio, tanto che molti uomini armati penetrarono all’interno dell’abitazione uccidendo quattro persone. Numerosi esponenti della famiglia Cappuccio si salvarono grazie all’intervento della polizia, anche se alcuni di loro furono arrestati. Benché si dichiarasse innocente, Giuseppe Saverio venne imprigionato nel carcere di Montefusco, accusato dell’uccisione del Penta.
Liberato dai francesi, nel 1806 ritornò a Mirabella Eclano. Collaborò attivamente con le autorità d’oltralpe e divenne capo del Collegio canonicale, acquisendo il titolo di ‘Abate’.
Durante questi anni fu maestro di pensiero e di azione per molti giovani, diffondendo tra loro le idee di libertà e gli ideali carbonari. Quando, poi, rientrarono i Borbone nel regno di Napoli, i nemici del Cappuccio ripresentarono nei suoi confronti la vecchia accusa di omicidio, per cui egli fu obbligato all’esilio nello Stato Pontificio. Fu proprio durante il periodo dell’esilio che Giuseppe Saverio venne a contatto con molti degli esuli napoletani affiliati alla carboneria, che fecero traboccare i suoi sentimenti e le sue idee verso un estremo e definitivo impegno di lotta.
Quando i moti carbonari scoppiarono in Irpinia, tra il 1820 e il 1821, a Mirabella Eclano vi era già un gruppo di liberali, organizzato in una “vendita”, denominata “La Fenice risorta sulle ruine di Eclano”, attiva fin dal 1818 per iniziativa proprio del Cappuccio, che non aveva mai perso i contatti con i suoi compaesani (infatti fu più volte avvistato in paese, sfidando il bando delle autorità borboniche). Tornato dall’esilio nel giugno del 1820, si dedicò all’organizzazione del gruppo di affiliati alla “Fenice”, orientando l’attività dei settari eclanesi verso posizioni radicali e di lotta armata, il tutto in netto contrasto con il moderatismo delle altre associazioni irpine.
Non fece, infatti, mancare il suo sostegno nella lotta che i carbonari irpini avviarono con il governo borbonico. Allo scoppio dei moti del 1820-21 riuscì a condurre nella mischia numerosi carbonari di Mirabella e lui stesso imbracciò il fucile battendosi sul campo. I carbonari irpini, per i suoi meriti, lo nominarono conestabile e Gran Primo Assistente nella Grande Dieta Carbonara del 1° settembre 1830. Partecipò così al dibattito politico dell’epoca non facendo mistero che si dovesse subito proclamare la Repubblica.
Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari, insieme ad altri capi (L. de Concilijs, M. Carrascosa, G. Pere, G. Russo, V. Piga, L. Minichini, S. Aversa, ecc.), dovette lasciare il Regno di Napoli. A nulla valsero le ricerche per catturarlo e nemmeno la forte taglia messa sulla sua cattura sortì gli effetti sperati. Così la Gran Corte Speciale, il 24 giugno 1823, lo condannò a morte in contumacia per aver cospirato contro il Re.
Dopo questi avvenimenti dell’abate Cappuccio si persero le tracce. Le ricerche della polizia diedero sempre esito negativo, alimentando su di lui numerose leggende.
Proprio secondo alcuni racconti popolari la sua morte, riconducibile al 1827, avvenne per mano di un suo cugino a causa di una questione di denaro.
Altri lo vogliono, invece, tragicamente ucciso da alcuni briganti, dopo essere stato derubato, ed il suo corpo, sempre secondo questi racconti, gettato nelle fondamenta di un’abitazione in costruzione nei pressi della località “Fontana del Re” lungo l’attuale SS.90 che collega Mirabella Eclano a Grottaminarda.

Fabiola Genua


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