Il 25 aprile in Italia

Foto Cultura 25 aprile 1«Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline».
(tratto da “La terra e la morte” – Cesare Pavese, 1945)

La storia della (giovane) Repubblica Italiana passa imprescindibilmente attraverso una data fondamentale: quella del 25 aprile, anche nota come “festa della Liberazione”. E’ in questo giorno, infatti, che ricorre l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale Italiana, avvenuta appunto il 25 aprile 1945, al termine della seconda guerra mondiale.
Convenzionalmente fu scelta questa data perché il 25 aprile 1945 fu il giorno della liberazione di Milano e Torino. Entro il 1º maggio, poi, fu liberata tutta l’Italia settentrionale: Bologna (il 21 aprile), Genova (il 26 aprile), Venezia (il 28 aprile).
La Liberazione, intesa come momento di riscatto morale di una importante parte della popolazione italiana, aveva così messo fine a venti anni di dittatura fascista e simbolicamente rappresenta l’inizio di un “nuovo corso” storico che porterà, poco dopo, al referendum del 2 giugno 1946, per la scelta fra monarchia e repubblica, e alla nascita della Repubblica Italiana poi.
La ricorrenza del 25 aprile venne istituita dal governo provvisorio del 1946 per quel solo anno, “a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano”; ma divenne ufficialmente festa nazionale solo nel 1949 attraverso la legge n. 260 (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive”).
Alla liberazione dell’Italia dalla dittatura nazifascista si poté arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani che, pur appartenendo ad un ampio e differenziato schieramento politico (dai comunisti ai militari monarchici, passando per i gruppi cattolici, socialisti ed azionisti), erano accumunati dagli stessi ideali di libertà, di democrazia e di giustizia sociale contro gli adulatori della tirannide: i partigiani.
I partigiani combatterono al fianco di molti soldati provenienti da paesi diversi e lontani (dagli Stati Uniti all’Australia, senza dimenticare Inglesi e Francesi), ma tutti accolti come alleati.
Nel suo libro “La Resistenza”, Gianni Oliva, parla della data del 25 aprile in maniera netta e concisa: «Tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 molti italiani combatterono per la prima volta in un conflitto per libera scelta. Partecipare alla ricorrenza significò impegnarsi in una guerra patriottica, civile e di classe. Patriottica e democratica lo fu nell’intento, riuscito, di liberare il Paese dal fascismo e dall’occupazione militare nazista. Fu una guerra civile che investì tutti gli strati della società, e vide il protagonismo delle bande partigiane in cui erano rappresentate le forze che avrebbero costituito l’ossatura del sistema politico dell’Italia repubblicana. Fu infine una guerra di classe perché le agitazioni dei lavoratori costituirono un elemento significativo dell’esperienza resistenziale in stretto collegamento con la lotta armata».
La storia dell’Italia repubblicana si fonda, appunto, sull’esperienza dell’antifascismo che Piero Calamandrei definì “quel monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”, elemento base di una nuova religione civile della nascitura democrazia repubblicana. Si è parlato più volte e da più parti della Resistenza come di “un secondo Risorgimento i cui protagonisti furono le masse popolari”.
“L’Italia – scrisse Winston Churchill, primo ministro inglese – deve la propria libertà ai suoi caduti partigiani perché solo combattendo si conquista la libertà“.
La libertà per cui hanno lottato i partigiani è anche e soprattutto la nostra.
«Un’elementare spinta di riscatto umano» era, secondo Calvino, a spingere i nostri nonni nell’urgenza di quei giorni. Quei nonni, all’epoca poco più che ragazzini che, nonostante tutto, sono stati capaci di guardare oltre le macerie, che sono riusciti ad immaginare mentre agivano e ridare così un senso alle cose.
Il passato, le azioni di quelle persone sono quello che permette ad ognuno di noi di essere qui e ora.
Proprio in virtù di ciò ogni cittadino ha il dovere di conoscere la storia, anche e soprattutto i giovani, quella nostra storia che ci consegna esempi da seguire, affinché il sacrificio non vada dimenticato, e perché gli errori non possano ripetersi. La storia crea la nostra identità comune, contribuisce a formare la nostra capacità di distinguere tra il bene dal male, il giusto dall’errore.
Purtroppo oggi a regnare è l’indifferenza e l’ignoranza (intesa nel senso letterale di “ignorare”, “non conoscere”) verso un avvenimento storico che quasi tutti noi italiani, ma principalmente le nuove generazioni, avvertiamo oramai come lontanissimo e di cui, per l’appunto, spesso e volentieri non sappiamo proprio nulla.
E’ triste constatare che oggi quasi nessuno dei giovani sappia nulla rispetto alla nostra storia. La scuola troppo spesso predilige le cerimonie di facciata, preoccupata solo di tenere alto il buon nome dell’istituto, piuttosto che insegnare cosa abbia effettivamente significato e che cosa dovrebbe rappresentare ancora oggi la Liberazione.
Chi lo sa, ben venga… chi non lo sa, presumibilmente non lo saprà mai.
A parere modesto ed assolutamente opinabile di chi scrive, mi permetto di dire la “colpa” di tutto ciò non vada addossata solo ed esclusivamente alla scuola in quanto tale. Credo, infatti, a livello più generale, che le Istituzioni siano state le prime a “tradire”, a sottrarsi al loro compito di trasmettere a tutti i cittadini l’importanza di un avvenimento che ha profondamente segnato la storia dell’Italia. Vedere che molti tra i nostri politici arrivino ad ignorare o addirittura a rinnegare la Liberazione, la dice lunga sul perché poi si finisca col considerare tale ricorrenza come un semplice giorno di vacanza dal lavoro, da scuola, insomma un giorno svuotato di qualsiasi significato profondo.
Per concludere credo che la Liberazione sia stata fondamentalmente un momento in cui gli Italiani si sono scrollati da un lungo torpore ed hanno lottato, pur con ingenuità e non senza errori, per la libertà del Paese che noi oggi abbiamo ereditato.
L’Italia che conosciamo oggi, anche se con tutti i suoi problemi e le sue incertezze, ha le sue radici in quel preciso momento storico, in cui ci si è finalmente ribellati al fascismo ed alle sue vergogne.
Attraverso la coscienza della nostra storia, infatti, che noi Italiani possiamo diventare cittadini e non sudditi di un potere per il quale non siamo e non contiamo nulla.
Non a caso già Cicerone affermava che «Historia magistra vitae», infatti «la storia [è] maestra di vita».

Fabiola Genua


Print pagePDF pageEmail page
Print Friendly, PDF & Email