Per non dimenticare

copertinageologia

La scelta dell’argomento da trattare nel primo articolo della nuova rubrica “Geologia” è stata in qualche modo legata alla ricorrenza del 36° anniversario del sisma del 23/11/1980 ma è anche conseguenza della serie di eventi sismici che hanno interessato l’italia centrale negli ultimi mesi catalizzando l’attenzione dei media sul fenomeno naturale terremoto.Le varie crisi sismiche che periodicamente interessano la nostra martoriata penisola risvegliano, nelle settimane immediatamente successive alle tragedie, l’interesse e la preoccupazione verso tale fenomeno. Purtroppo non appena cala l’attenzione giornalistica anche i residenti nelle aree a forte rischio sismico tendono a dimenticare in fretta ed a perdere anche la memoria storica verso tali eventi. Il modo migliore per fare una corretta opera di prevenzione è informare costantemente e non solo a tragedia avvenuta, la popolazione su quelli che sono i rischi naturali a cui sono soggette le proprie aree di residenza e nello stesso tempo ricordare sempre a tutti che i terremoti si verificano sempre là dove si sono già verificati in passato e con la stessa intensità.
Da studi fatti sulle maggiori strutture sismogenetiche (grosse faglie capaci di dare vita a forti terremoti) è stato determinato, mediante metodi di datazione assoluta basati sul rapporto tra le quantità di due isotopi del carbonio, che i tempi di ricorrenza tra un evento ed il successivo possono essere anche di migliaia di anni. Questo dato però non deve tranquillizzare, in quanto non tutte le strutture sismogenetiche sono ancora note studiate e monitorate e non sempre i tempi di ricorrenza vengono rispettati; può anche accadere che in determinate aree si abbiano periodi di forte accelerazione della normale attività sismica.Per non dimenticare, il 23 novembre 1980, alle ore 19:34 locali, un forte terremoto (MW=6.9) colpì una zona dell’Appennino Campano-Lucano, un’area estesa tra le province di Avellino, Salerno e Potenza. L’evento fu fortemente avvertito in tutta l’Italia centro-meridionale, in Campania e Basilicata, Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia. Questo terremoto, non fu preceduto da altre scosse e fu caratterizzato da tre distinti fenomeni di rottura, lungo differenti segmenti di faglia, succedutisi in circa 40 secondi (figura1).

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Figura 1: Descrizione del processo di rottura dei segmenti di faglia

La rottura si propagò dall’ipocentro (sub evento 1 in figura1) interessando due segmenti di faglia lungo i Monti Marzano, Carpineta e Cervialto, separati dalla valle del Sele. Dopo circa 20 secondi, la rottura si propagò verso SE in direzione della Piana di San Gregorio (sub evento 2). L’ultimo segmento di faglia (sub evento 3) interessato dal processo di rottura, dopo 40 secondi, è localizzato a NE del primo segmento. Le due rotture, innescatesi in seguito e come conseguenza della prima, diedero all’osservatore, la percezione di un unico interminabile evento.
All’epoca non esisteva una vera e propria rete di monitoraggio sismico, pertanto, non sappiamo con certezza se ci furono degli eventi precursori. Le repliche, invece, furono  registrate soprattutto grazie ad una rete sismica temporanea, installata da ricercatori provenienti da Parigi e Cambridge. Queste furono alcune migliaia, distribuite lungo tutta la lunghezza di faglia, in un volume esteso, compreso tra le quattro faglie coinvolte. La replica più forte si verificò il 25 novembre 1980 alle 19:28 locali (MW=5.4).
L’evidenza in superficie della linea di frattura è ben visibile per un lungo tratto, circa 38 Km, nei pressi di Piano di Pecore, nei Comuni di Colliano e Laviano sul Monte Marzano, dove ha generato una scarpata di faglia ben visibile  (foto 1).

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Foto 1: Scarpata di faglia presso Piano di Pecore

Gli effetti del danneggiamento prodotti dal terremoto del 1980 furono drammatici ed interessarono un’area molto vasta. Alcune decine di località, fra le quali Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e Santomenna, furono pressoché distrutte. Il terremoto fu avvertito sensibilmente in tutta l’Italia meridionale; a Napoli numerosi edifici subirono danni. Le vittime furono complessivamente quasi 3.000 e circa 10.000 i feriti.

Le prime pagine de “Il Mattino” del 25, 26 e 29 Novembre 1980 descrivevano quanto  accaduto e titolavano così:

 

Ciriaco D’Ambrosio


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