Riforma della Pubblica Amministrazione e Decreto sulla Trasparenza: anche l’Italia ha il FOIA

copertinafoia

Lo scorso 23 giugno è entrato ufficialmente in vigore il d.lgs 97/2016, uno dei decreti attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione voluta dal ministro Marianna Madia; in linea con quanto affermato con un comunicato stampa del governo, questo decreto ha introdotto «una nuova forma di accesso civico ai dati e documenti pubblici equivalente a quella che nel sistema anglosassone è definita “Freedom of Information Act” (FOIA)».

A partire dal prossimo 23 dicembre, data in cui il decreto sarà attuato,  tutti i cittadini, infatti, avranno la possibilità di richiedere documenti e atti della Pubblicazione Amministrazione. Fanno eccezione le documentazioni ritenute sensibili, secondo uno specifico iter per il quale verrà comunque data risposta ai cittadini che ne faranno richiesta.

L’obiettivo predominante che il decreto in questione vuole perseguire è quello della «prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza», passando, contemporaneamente, per un lungo e complesso articolo che va a riconfigurare in maniera profonda la disciplina sull’accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione: qualunque persona, infatti, potrà presentare istanza d’accesso, senza più l’obbligo di motivare la richiesta (art. 6, c. 1).

Una differenza sostanziale, dunque, rispetto alla precedente legge 241 del 1990, la quale riservava la possibilità di accedere ai documenti della P.A. unicamente a chi avesse «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, c. 1, lett. b).

Era proprio questa restrizione imposta dal d.lgs. 241/90 che rappresentava la netta linea di demarcazione tra la normativa italiana e quella vigente in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea e in altri come Canada, Stati Uniti, Messico, Brasile, ecc., basati, appunto, sul principio per il quale il diritto di accesso ai documenti di pubblico interesse – in genere noti come FOIA, ovvero leggi sul diritto all’informazione (sottinteso, detenuta dalla P.A.) – appartiene a chiunque voglia farne richiesta prescindendo dalle motivazioni.

Con la legge 97/2016 la normativa italiana si è dunque allineata agli standard internazionali, così come più volte già sollecitato dall’UE.

In estrema sintesi i punti cardine sui quali poggia il FOIA italiano sono:

  1. Pubblicazione immediata degli atti. Allo scopo di evitare un affollamento di domande, il decreto anticipa i tempi sulle comunicazioni: in primo luogo saranno le pubbliche amministrazioni a pubblicare online alcuni dati di interesse collettivo come, ad esempio, i parametri con cui si formano le liste di attesa nella sanità oppure i pagamenti effettuati per permettere di tenere sotto controllo i debiti commerciali nei confronti dei fornitori; dovranno essere pubblicati, ancora, i dati sui titolari di incarichi dirigenziali, sulle indennità dei politici e la relativa situazione patrimoniale;
  2. Documenti gratis. In linea generale, le Pubbliche Amministrazioni saranno obbligate a rilasciare i documenti in forma gratuita, in modo particolare quando l’invio avviene per via telematica. Dal richiedente sarà possibile esigere solo il rimborso del costo “effettivamente sostenuto e documentato” per la riproduzione del documento “su supporti materiali”;
  3. Abolizione del “silenzio-rifiuto”. Il nuovo diritto di accesso sancisce definitivamente la revoca al silenzio-rifiuto, vale a dire la regola secondo cui, allorché l’amministrazione non risponda nei tempi stabiliti dalla legge (i canonici 30 giorni), il suo silenzio deve interpretarsi come un diniego all’accesso stesso. Con il nuovo decreto, al contrario, permane sempre l’obbligo per la P.A. di dare un riscontro all’istanza presentata dal cittadino entro 30 giorni ma, qualora l’ente vorrà negare le informazioni richieste, dovrà farlo attraverso un “provvedimento espresso e motivato”, altrimenti il suo silenzio si considererà come assenso e, quindi, scatterà in automatico il diritto di accesso. Contro l’eventuale rifiuto all’accesso si potrà fare ricorso al Responsabile anti-corruzione o, negli enti locali, al difensore civico, eludendo così la via più dispendiosa del ricorso al Tar così come previsto dalla attuale legge. In ultima istanza, per negare l’accesso ai dati, l’amministrazione deve provvedere a dimostrare che l’approvazione della richiesta pregiudicherebbe in modo concreto due tipologie di interessi tutelabili: gli interessi dello Stato (riguardanti la sicurezza nazionale, le questioni militari, lo svolgimento delle indagini alla stabilità finanziaria ed economica) o quelli dei privati (cioè i dati personali, la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali).

 

Fabiola Genua


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