ASPETTI PSICOLOGICI DEL CORONA VIRUS a cura della Psicologa Psicoterapeuta Dott.ssa Diletta De Benedetto

L’umanità oggi è fragile come non mai, sta attraversando un momento di smarrimento e di impotenza, di fronte alla consapevolezza dei propri limiti e all’incertezza del futuro, che impone un forte cambiamento, necessario quanto indispensabile.

Nell’ultimo mese c’è stato un vero e proprio stravolgimento collettivo, siamo stati travolti improvvisamente ed inaspettatamente, tutti nello stesso momento dall’epidemia COVID 19 o CORONAVIRUS, che ci ha costretti ad affrontare faticosi cambiamenti delle abitudini quotidiane. Per alcuni sono riaffiorate evocazioni, ricordi e paure del passato più antico: “la guerra”!

Ci siamo ritrovati tutti improvvisamente vulnerabili, impotenti, in balia dell’evento nuovo e sconosciuto, insomma piccoli “di fronte a qualcosa più grande di noi”.

L’epidemia sta suscitando numerose reazioni in diversi ambiti di vita: sociale, personale, psicologica, economica e politica.

A tutti i livelli l’equilibrio è difficile da trovare: identificare il giusto grado di protezione per tenerci in vita o quanto meno in salute di fronte al pericolo imminente; conservare l’energia necessaria per tollerare l’emergenza, che si prolunga; prepararsi ad una riduzione del trauma psicologico che l’epidemia sta diffondendo, per  una rapida risalita, quando, speriamo al più presto sarà passato il pericolo.

E’ inevitabile notare che dal punto di vista emotivo, c’è un’improvvisa perdita di protezione, sicurezza, che innesca un sistema di difesa innato (Porgers 2001),                                                                                                   la parte più antica del sistema nervoso autonomo esistente e conservata nei mammiferi.

Quando il sistema di difesa è sollecitato di continuo e in modo eccessivo, si disregola e perde la sua efficacia.

Ci espone a diverse reazioni  e alla ricerca di protezione: pianto di attaccamento, rabbia verso il diverso, o l’untore, il vicino, per chi non rispetta le regole, l’ignoranza, il governo, reazioni di fuga dalle città, o dalle zone rosse, dagli ospedali, o minimizzare per far finta di niente o seguire ossessivamente le statistiche  di contagio, atteggiamento fatalistico o di negazione fino alla rinuncia di qualsiasi protezione.

Epidemia, isolamento, quarantena, contagio. Sono le parole che meglio raccontano il nostro paese in questi giorni di angoscia e paura. Al crescere del numero di malati e di decessi, l’angoscia diventa, infatti, un fardello sempre più difficile da sostenere.

Siamo sempre più soli

Quella che proviamo in questi giorni non può essere definita propriamente paura, quanto angoscia. Infatti, se la paura scaturisce da una minaccia ben precisa, l’angoscia si genera quando il pericolo non è ben identificabile, come nel caso del Coronavirus. La risposta all’angoscia è il panico «I legami si frantumano e noi ci sentiamo inermi, soli, in una condizione di impotenza e abbandono assoluto. Il panico disgrega la massa. Infatti, se la massa genera di solito un fenomeno di appartenenza, il contatto dei corpi provoca una sensazione positiva di accomunamento. Col panico si sbriciola tutto questo e il contatto con il corpo dell’altro evoca un fantasma di contaminazione».

Coronavirus

Per tutti la reazione emotiva, psicologica è improvvisa e prorompente. La più diffusa è l’ANGOSCIA individuale e collettiva che coinvolge l’intera comunità.

Ad un trauma inatteso non ci sono immediate difese , è imprevedibile, scompagina il nostro mondo e modo di vivere.

La risposta collettiva alla “guerra” è più rassicurante perché si conosce il “nemico”, ha un volto e abbiamo un capro espiatorio.

Il virus non è localizzabile né confinabile, ci sentiamo Noi stessi portatori e a differenza della guerra si disattivano meccanismi difensivi paranoidei e persecutori.

Sono giorni questi contrassegnati dalla paura, dal sospetto (che chi mi passa accanto per strada senza mascherina, chi ha aperto la porta della farmacia o del negozio di alimentari prima di me, chi prende l’ascensore, e così via, mi possa infettare), dalla tensione che inevitabilmente la limitazione della libertà comporta e la coabitazione forzata rende anche più pesante e faticosa da tollerare (infatti è stato registrato un aumento della violenza domestica).

Questo stato di totale ansia è un’occasione per le Istituzioni di acquisire credibilità, fiducia, dignità, non abbandonando i più deboli e vulnerabili, i ceti sociali più fragili, rispondendo con immediatezza al trauma della morte di chi è deceduto che non ha più un nome, è un numero anonimo. Ancor più si disumanizza la morte, la sua dimensione simbolica , manca il rito funebre  e il conforto che la rende umana.

L’elaborazione del lutto, senza rito o cerimonia funebre di  addio è un dolore ancor più profondo.

Il lutto è collettivo, l’angoscia è di tutti:  la paura di perdere il proprio mondo, quello che fino ad un attimo prima conoscevamo, quello a cui eravamo abituati e che ci apparteneva.

Un altro livello importante è l’angoscia degli operatori e la loro salute mentale, che lavorano sotto pressione, esercitano la professione in continuo ed estremo pericolo. Sono costretti anche a vicariare l’assenza forzata dei familiari, svolgono un doppio ruolo, una duplice funzione: quella terapeutica e quella di cura.

In questo clima surreale, è retorico parlare di errori fatti già da anni con tagli alla sanità pubblica, alla ricerca, alla scuola, alla cultura: è evidente che il virus ha trovato terreno fertile e fragile per innescarsi.

Gli aspetti psicologici da evidenziare positivi e mettere in luce sono:

La solidarietà

La costrizione di poter fare un’esperienza profonda della propria libertà e la differenza con il libero arbitrio.

Il virus rappresenta la privazione a cui bisogna reagire e rispondere con audacia inaudita senza perdere MAI LA SPERANZA.

L’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare un peggioramento di una situazione. Se invece riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo coglierne anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo.        

E’ essenziale distinguere l’isolamento dalla solitudine, porci delle domande: con chi potremmo parlare ora?

Cosa potrebbe aiutarci a sentici più connessi agli altri?

La sola idea di essere privati della libertà attiva ansia, rabbia, senso d’impotenza, dobbiamo aiutare la mente ad orientarci nel presente, dando attenzione  agli stimoli che ci aiutano a creare uno spazio mentale interno libero, sicuro che possa continuare ad accoglierci e non sentirci soli e abbandonati. E’ importante leggere, scrivere, cantare, disegnare, inventare, respirare, rilassarsi, suonare …

Per gestire le proprie emozioni, bisogna essere creativi, curiosi, attivare nuove risorse che ci aiutano ad andare incontro ai nostri bisogni di conforto, rassicurazione, distrazione, e con un piccolo sforzo, se ci riusciamo lasciamo uno spazio per osservarci e smettere di trovare soluzioni!

Non ci sono ricette valide per tutti ma sarà sempre più importante, con il tempo che scorre, riconoscere le emozioni che potrebbero ingannarci, darci tempo, spazio e rafforzare le risorse interne psicologiche e mettere al centro la cura di SE’.

Prevenire e contenere i danni di questo tempo, per tutti strano, immaginando come vogliamo vedere il futuro, cercando dentro di Noi un finale Positivo, riducendo lo stress attuale e prevenendo le conseguenze del trauma che ha come conseguenza il DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS già presente, ma non da tutti accettato anche se ancor più inevitabile in futuro!  Il supporto psicologico per la riduzione e la gestione dello stress è fondamentale. Negli ospedali gli psicologi sono indispensabili per tutti gli operatori: non solo nessuno è escluso, anche per chi si sente invincibile, o crede di essere diverso.   Sin da ora è necessario prevedere un supporto psicologico per sconfiggere il nemico invisibile e ridurre gli effetti del trauma che esso ha scatenato con la perturbazione e l’improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività, con effetti più o meno gravi e duraturi.

La crisi secondo Albert Einstein

 “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.

 La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’ inconveniente delle persone e delle nazioni  è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

Albert Einstein

E anche questa volta l’Italia ce la farà!!

Psicologa Psicoterapeuta
Dott.ssa Diletta De Benedetto


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